C’è un uomo che soffre di terribili emicranie che arriva anche a contornarsi il volto con l’agopuntura pur di lenire il dolore.
È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti ne Il divo, il film in programma oggi 9 agosto alle ore 20.30 presso il cortile del palazzo scolastico ad Atrani, nell’ambito della rassegna La via dell’Oscar, dedicata al regista Paolo Sorrentino.
Siamo negli anni Ottanta e quest’uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l’ennesima presidenza del Consiglio. L’uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la Mafia. Processo dal quale verrà assolto. L’Andreotti di Sorrentino è un uomo che ha consacrato tutto se stesso al Potere. Un politico che ha saputo vincere anche quando perdeva. Un essere umano profondamente solo che ha trovato nella moglie l’unica persona che ha creduto di poterlo conoscere.
La sequenza in cui i due siedono mano nella mano davanti al televisore in cui Renato Zero canta I migliori anni della nostra vita entra di diritto nella storia del cinema italiano. È la sintesi perfetta di una vita consacrata sull’altare sbagliato.
Una vita in cui, come afferma lo stesso Andreotti (interpretato da un Servillo capace di cancellare qualsiasi remota ipotesi di imitazione per dedicarsi invece a uno scavo dell’interiorità del personaggio), “è inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene”.