Il Vescovo di Vallo incontra le Piccole Comunità di Fede e di Testimonianza.

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Mons. Ciro Miniero Vescovo di Vallo della LucaniaIl culto comunitario nella Chiesa cristiana era una pratica abituale e tale forma nella Chiesa primitiva richiamava la lettura e l’ esposizione delle Sacre Scritture, la preghiera, il canto dei Salmi, l’osservanza dei sacramenti. Sostanzialmente questa modalità, ad eccezione della celebrazione liturgica dell’Eucarestia, richiamava l’esempio e il comando di Gesù. Oggi è bello constatare che nella Chiesa del Cilento, la comunione con Dio, realizzata come comunione fraterna, si esprime concretamente come impegno sociale, nella carità e nella giustizia. Ci piace la testimonianza di Rosanna Marrocco in relazione alla cronaca del terzo incontro delle Piccole Comunità di Fede e Testimonianza tenutosi a Novi Velia, in casa di Titina Tortorella, dimora di una Piccola Comunità di Fede e di Testimonianza. “

“Eravamo in comunione intorno ad un camino acceso e scoppiettante; è stato un momento particolare, molto bello, vissuto da tutti con gioia ed esultanza per la gradita presenza del nostro Vescovo Mons. Ciro Miniero e del nostro Parroco don Aniello Panzariello. Il gruppo presente, aggiunge Rosanna, era numeroso e ben motivato sia nell’ascolto che negli interventi. La presentazione e la lettura dei brani della Bibbia, tratti da Samuele I libro sull’amicizia fra Gionata e Davide sono state accompagnate da interventi pertinenti sia da parte del gruppo dei giovani che dagli adulti i quali hanno testimoniato i loro dubbi, ma anche le loro certezza sulla possibilità di amicizia umana sincera e scambievole. L’attesa dei primi momenti è culminata in uno scambio amichevole, bello e cordiale, alla presenza palpabile di Cristo tra noi che fa da guida alle nostre scelte e alle nostre speranze. La benedizione particolare del nostro Vescovo e l’abbraccio finale hanno riportato fra noi un po’ il clima di gaudio e di pace delle prime comunità”. E poi, così sottolinea con grande entusiasmo cristiano Rosanna Marrocco:” La Chiesa è qui, è presente, è in mezzo a noi e dentro di noi”.

Vescovo_Miniero_StileTV (1)Mons. Ciro Miniero, il Vescovo della Diocesi di Vallo della Lucania, così mostra le Piccole Comunità di Fede e di Testimonianza: “Sono entità costituite da gruppi di persone che si riuniscono non per esprimere un carisma particolare, ma per essere e divenire «chiesa» e «chiesa domestica». Si radunano nelle case e sono costituiti da poche persone, in modo da permettere autentici rapporti interpersonali nella fede. In esse ogni battezzato, così come ogni famiglia, può vivere e sperimentare la dimensione comunitaria della chiesa nella grande comunità parrocchiale. La vita parrocchiale spesso richiede forme di aggregazione nel suo interno perché la gente possa realizzare il senso della comunità in un sistema di relazioni semplici. Gruppi spontanei, aggregazioni laicali, gruppi finalizzati al raggiungimento di un obiettivo (catechesi, giornalino, gemellaggio missionario…).

Quali sono Eccellenza le motivazioni che sostengono e giustificano le comunità,. Quali sono i modi per suscitare e promuove questi gruppi? Qual è il cammino per la loro maturazione, il metodo dei loro incontri e la conduzione e animazione degli incontri stessi?

“Ognuno di questi piccoli gruppi, riferisce Mons. Miniero, nel contesto del cammino più ampio della parrocchia, va inteso come un gruppo di adulti, a dimensione umana per numero di membri, che esprime le diversità sociali ed ecclesiali (di doni, carismi e ministeri) e che, in quanto gruppo, vuol percorrere un cammino che lo porti a diventare una comunità di fede, di testimonianza, di culto e vita cristiana, di servizio e missione. È in tale ambito, il più vicino alla realizzazione di ognuno come persona e a servizio dell’evangelizzazione dell’ambiente che si concentra e si esprime la chiesa. In tali piccole comunità di fede e di testimonianza, all’interno della parrocchia, promoviamo l’approfondimento dei contenuti di un cammino di catecumenato e di evangelizzazione, illuminati dalla Parola di Dio e dal Magistero della Chiesa che si sperimenta con tutto il popolo di Dio. In questo modo ci proponiamo, non di avere dei gruppi all’interno della parrocchia, né di operare un decentramento di essa nei piccoli gruppi, ma di promuovere un dinamismo di crescita globale in cui costruire vari spazi di maturazione della fede in base sia alla comunità di appartenenza, sia alle esigenze per le varie attività.

Qual è la motivazione alla base della costituzione delle piccole comunità?
“Le ragioni sono molteplici, incalza il Pastore della Chiesa di Vallo, e allo stesso tempo riconducibili alla natura stessa della chiesa che, essendo una comunità di fede, speranza e carità, si esprime visibilmente in un corpo sociale, articolato in tante comunità quante sono necessarie perché ogni battezzato possa sentirsi parte di essa, possa assumere il proprio ruolo – profetico, sacerdotale, regale – e vivere il dono di sé per il bene di tutto il corpo, che è la chiesa, e per il regno di Dio. Tra le diverse forme di comunità ecclesiali hanno un’importanza particolare quelle che esprimono la chiesa come integrazione delle diversità sociali ed ecclesiali nell’unità.

Elenchiamo perciò un insieme di motivazioni che possono facilitare coloro che debbono dar ragione della costituzione delle piccole comunità. Dalla storia della chiesa: lungo tutti i tempi e in tutte le culture, la chiesa ha cercato di formare alla base della sua organizzazione, sia come spazio di appartenenza, sia soprattutto come ambito di esperienza di fede, piccole comunità a dimensione umana. Possiamo ricordarne alcune: le primitive comunità cristiane degli Atti degli Apostoli e delle lettere paoline, che si radunavano nelle case di famiglie determinate; le comunità in tempo di persecuzione che si radunavano nelle catacombe appartenenti ad alcune famiglie; le comunità dei piccoli villaggi al tempo di Costantino che si chiamavano «parrocchie» ed erano di dimensioni molto piccole, per niente paragonabili alle attuali, tanto per estensione geografica quanto per il numero dei componenti; le corporazioni del Medioevo che radunavano la gente secondo le professioni; le confraternite del Rinascimento, legate generalmente alla devozione a un santo e alla cappella corrispondente, e a un’opera pia o di carità; le associazioni del tempo moderno e, nella campagna, la famiglia patriarcale che, oltre ad avere funzioni economiche, politiche e di assistenza sociale, era allo stesso tempo uno spazio di preghiera e di comunicazione della fede; spazio che con la rivoluzione industriale e l’urbanesimo venne a mancare. Dalla storia attuale: da un regime feudale, monarchico, autoritario e verticista, a un altro tendenzialmente democratico, partecipativo, egualitario e pluralista; da una struttura agraria a una industriale e tecnica; da una società sostanzialmente statica a una spiccatamente dinamica, caratterizzata cioè da cambiamenti rapidi, universali e permanenti; da una famiglia patriarcale a una nucleare; da gruppi umani (paesi e regioni) isolati a un’umanità interdipendente e intercomunicante.
La chiesa deve vivere la sua fedeltà alla fede in questa nuova situazione, creando gruppi dove il dialogo, la partecipazione, la fraternità, tratti della sensibilità dell’uomo d’oggi, siano possibili”.

Quali sono le ragioni che inducono alla creazione del gruppo dialogico e alla partecipazione fraterna?
“Le motivazioni sono di vario ordine: antropologico, psicologico, sociologico, teologico e pastorale.
L’uomo si realizza come persona con altri e per gli altri, e nella misura che viene accettato come tale; non si è persona finché si è inseriti in una «massa» anonima.
La chiesa sa per fede che ogni persona è chiamata a essere figlia di Dio; deve quindi creare delle realtà che permettano a ogni persona di diventare ed esprimersi come tale, in un rapporto autentico di fraternità, a servizio dei fratelli.
La persona cresce verso la maturità quando stabilisce rapporti interpersonali autentici che le permettano di sviluppare le sue possibilità e di superare i limiti, le lacune e i blocchi; questi possono essere risolti soltanto in un gruppo che venga incontro alle sue necessità.
La chiesa sa per fede che ogni uomo è chiamato alla perfezione della carità; deve creare quindi gli spazi nei quali il cristiano possa vivere e crescere nella fraternità, rispondendo così al bisogno fondamentale che ha ogni persona, di trascendere cioè se stessa.
Le strutture di un gruppo associato devono tener conto della nuova situazione storica. Questa esige che si strutturi la partecipazione nella elaborazione, nella decisione e nell’attuazione organica di quanto la comunità è chiamata a vivere e a fare. Solo così le persone diventano agenti del proprio destino e vengono difese da ogni forma di emargi¬nazione e di strumentalizzazione.
La chiesa riconosce a tutti i cristiani l’uguaglianza nella dignità di figli di Dio e la partecipazione alle funzioni – profetica, sacerdotale e regale – di Cristo; deve quindi creare strutture personalizzate e personalizzanti, che rendano ve¬ra tale realtà.
La chiesa nel Concilio si è riscoperta come: comunità di fede, speranza e carità; comunità gerarchica, con ministeri e servizi diversi; comunità depositaria di un’unica missione: annunciare e promuovere la salvezza (o liberazione) di tutto l’uomo e di tutti gli uomini in Cristo.
La chiesa, corpo di Cristo e popolo di Dio, è chiamata a essere un segno efficace della comunione con Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. In questo la chiesa fonda il suo rinnovamento. «Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri come Io ho amato voi. Se siete uno, come Io e il Padre siamo uno, il mondo si convertirà» (cfr Gv 13,34-35; 10,30).
Tutto ciò è possibile se esistono comunità di dimensioni umane nelle quali si viva un rapporto interpersonale di fede, altrimenti non si supera l’anonimato e la comunità ecclesiale, alle istanze superiori, viene ridotta ai «privilegiati», alle «élites», a scapito di un popolo a cui non si riconoscono, di fatto, i diritti fondamentali che Dio gli ha dato col Battesimo. Nella prospettiva dell’agire, è auspicabile creare tante comunità a misura d’uomo quante sono necessarie perché i battezzati possano partecipare e condividere la medesima fede. Comunità nelle quali si possano soddisfare le esigenze elencate. Comunità intese non come suppletive di altre realtà né accanto ad esse, ma come espressione del popolo di Dio che vive in un territorio parrocchiale e nelle quali si integrano le diversità ambientali ed ecclesiali”. In sintesi quindi possiamo dire in relazione alle Piccole Comunità di Fede e di Testimonianza che esse si distinguono come tali poiché interpretano la vita secondo la fede, sono capaci di incidere nella vita dei fratelli e quindi si manifestano quale autentica espressione di testimonianza. Le stesse sono di culto e vita cristiana poiché fanno della vita un sacrificio spirituale. Ci è possibile poi connotarle, per concludere, come gruppo di servizio e missione, sia nell’ambiente sociale, sia nella chiesa e per il mondo, fino agli estremi confini della terra”.

Come è possibile suscitare e promuovere le Piccole Comunità di Fede e Testimonianza? “Innanzitutto sottolineo che le piccole comunità sono da intendere non solo come mezzo di decentramento parrocchiale, né solo come centri di animazione ambientale e neppure come realtà isolate l’una dall’altra, ma come dinamismo di crescita di un popolo di Dio che, a un certo momento, esige spazi personalizzati di approfondimento della fede, nel confronto vita-Vangelo.

Esse sono promosse perciò come un fenomeno di popolo; non una dopo l’altra, ma tutte insieme. Si evitano in tal modo contrapposizioni e competitività tra comunità e comunità, e tra queste e la parrocchia. Infatti, nel suscitarle tutte insieme e come espressione di popolo, si crea un fatto popolare non elitario e un modo di essere parrocchia, per cui appartenere a una piccola comunità non è altro che appartenere alla parrocchia, intesa come popolo in cammino. In questo modo si risolve fin dall’inizio anche il problema del coordinamento delle piccole comunità, sia nei loro rapporti reciproci, sia riguardo ai temi di riflessione”.

Emilio La Greca Romano