E’ iniziato un altro anno, quello bizantino, quello scolastico che i normanni festeggiavano qui a Salerno e in costiera amalfitana diventata la loro terra il primo settembre . A scuola, settembre è diventato un inizio anticipato rispetto a quello dei remigini del primo ottobre di lontana memoria. Fa caldo, fa freddo, soffia un nuovo vento. In Cilento hanno posticipato a lunedì 16 il suono della prima campanella , poiché nelle aule supera i trenta gradi la temperatura. Qui in città tutti sono entrati in un giorno da non dimenticare , l’11 settembre. Ma quanti hanno commemorato quel giorno di diciotto anni fa , quando aerei proiettili hanno massacrato non solo uomini , donne e bambini, ma il simbolo della sfida umana all’innovazione di due grattacieli, le torri cosiddette gemelle a New York?
Quanti lo ricordano? Ecco la scuola è luogo di memoria , dovrebbe ogni giorno ricordare ciò che è stato, perchè non avvenga più. Ciò che distrugge per costruire e non solo e semplicemente ricostruire le macerie del passato. Guardare al futuro, ma con i piedi ben saldi in un passato troppo fluido e dimenticato. La scuola è e dovrebbe restare un luogo nel presente , nell’attualità di un giornale letto in classe, di una cronaca non solo nera , ma variopinta dal pensiero aperto e critico di bambini e giovani studenti attenti, vigili sulla contemporaneità ma con lo sguardo alto, come quello dei grattacieli, dei droni, delle visioni ampie e aeree che solo i più giovani hanno in ogni epoca. Ecco quando ogni inizio anno incontriamo i loro sguardi, quelli dei ragazzi pieni di attese e speranza mista a paura e ansia, troviamo insieme le risposte non certe ma possibili al perché di ciò che accade , è accaduto e potrebbe accadere. Certo è il ruolo più difficile quello di educatori e insegnanti , dei lavoratori della conoscenza, che oltre la classica lezione disciplinare discutono anche di altri argomenti, tra una trasversale o interdisciplinare ma obbligatoria ora settimanale di “Cittadinanza e Costituzione” oggi sbandierata come la “nuova educazione civica” . “Ama le cose difficili” ci incita il poeta e maestro Gianni Rodari. A scuola si va per imparare , per capire, conoscere non per facilitare l’apprendimento , ma per incuriosire, appassionare, riflettere, pensare.
Si può insegnare filosofia anche ai bambini e in una prima liceale se si vuole iniziare senza rinvii a riflettere, a porsi dubbi, a non sentirsi presuntuosamente e limitatamente detentori di una verità assoluta e spesso autoreferenziale o molto personale. La scuola è il luogo dell’esercizio alla collettività, dove ognuno può esprimere le proprie potenzialità ma in una “sana competizione”, come quella dello sport, dove si cresce insieme senza sentirsi assolutamente perdenti, né vincitori, tentando un pareggio di una condivisione senza appiattire la conoscenza ma arricchendosi l’un l’altro nell’oceano del sapere.
Ecco continuerò a sognare una scuola così, una scuola dove tutti abbiano lo spazio per pensare oltre il fare, dove” la progettite, malattia infantile dell’autonomia”, come affermava Piero Romei, diventi progettualità unitaria e chiara, dove tutti si sentano protagonisti di un sistema coeso , efficace, efficiente ma soprattutto utile agli studenti, ai docenti, sempre più disorientati nell’acque agitate della burocrazia che ci soffoca, delle scadenze che ci assillano, delle date di inizio e fine anno, che per chi crede nel valore formativo della scuola reale durano una vita, quella dedicata alla cura dell’altro e degli altri, quella dell’ascolto oltre la parola, quella dell’incontro. La scuola lo è e ci auguriamo tutti che sia sempre uno spazio non solo fisico ma mentale, che nessun Ministro , di nessuna aerea politica potrà manipolare o smantellare, migliorare o peggiorare. Dipende soltanto da noi, cittadini, genitori, studenti, docenti, dirigenti , operatori scolastici tutti, la qualità di questo che resta un servizio dello Stato per lo Stato, che costruiremo tutti insieme, ognuno per la sua parte.
Gilda Ricci