Gli sforzi che si sono fatti per mantenere un tenue contatto con il proprio essere artisti (parliamo del Teatro in particolare), sono stati effimeri, quando non addirittura maldestri. Ma è comprensibile il tentativo di riempire la falla improvvisa che ha bloccato un progetto artistico spesso immaginato con mesi, se non anni, di anticipo.
In questi mesi inoltre si è tanto parlato del Teatro senza che nessuno dicesse però quali progetti si immaginano una volta che si potrà ripartire!
Cosa faremo? Come lo faremo? Dove lo faremo?
I problemi del Teatro in questo Paese sono antichi e quello che si è verificato ha solo messo in risalto la “paura” per un futuro che non riusciamo, appunto, ad immaginare.
Perciò è molto più semplice mettere al centro di tutto: “la sovvenzione”, vecchio refrain che tanto male ha fatto al Teatro. Prima lo si pretendeva per il semplice fatto di essere “artisti”, ora perché lavoratori senza tutele e rappresentanze.
In realtà serve un progetto nuovo per un Nuovo Teatro.
Nel settembre scorso immaginammo un “manifesto” verso i nostri 40 anni di storia. Rileggendo quei principi pensati prima del lockdown ci sembrano ancor più convincenti.
E sembra un amaro paradosso pensare oggi che l’ultimo atto della nostra stagione – il 21 febbraio scorso – fosse dedicato a Leo De Berardinis.
Lo presentavamo così:
“In “Assoli” (1977) Leo scandisce in una sorta di tarantella: Io so’ pazzo. Io so’ pazzo. Io me so’ scassat’o… ‘o cerviello! esprimendo la sua resistenza a quella riduzione a un grado zero dell’espressione teatrale e affermando la possibilità di un sentimento capace di poter crescere dentro la degradazione. Non è (ancora e di più) la condizione in cui ci sentiamo di vivere – chi fa arte e non solo – quotidianamente?! Nelle scuole, nelle università… nei teatri, nei luoghi di aggregazione sempre meno accessibili.”
Ecco, questa era la nostra riflessione sul Teatro PRIMA del COVID, e lo resterà anche per il DOPO!
Alla ricerca di un “luogo”: manifesto verso i 40 anni di attività
Da questa stagione, che non a caso chiamata Esuli, il nostro Teatro s_fugge dai luoghi tradizionali della rappresentazione! Niente più “diritti” da elargire, botteghini, locazione di spazi pubblici messi a disposizione – pur pagandoli – come favore… Solo il Teatro di e per tutti. Un Teatro che definiremmo, in un momento di enfasi, Sociale e Popolare, a servizio della persona e della città. Che nasce dalla critica forte a quello che di mistificante ruota intorno al Teatro stesso anche quando è utilizzato come strumento cosiddetto sociale (scuola, arteterapia…): uno “spettacolificio” sottomesso alle regole del mercato, con spettacoli uguale a se stessi perpetuati stancamente da decenni; che ha del tutto perduti i suoi obiettivi primari: creare una comunità di uomini e donne che s’incontrano, condividono una passione, si scambiano opinioni contribuendo, attraverso le storie che da questo scambio prendono corpo, alla creazione di una coscienza critica collettiva. Sarà perciò un Teatro ancora più libero e gratuito; indipendente e senza censure; che riunirà in spazi sempre più piccoli individui con la propria esperienza e la necessità di condividerla.
Carmine Califano
Direttore Artistico Collettivo Acca