Un’analisi realizzata da Confcommercio rivela che negli ultimi cinque anni la tassa sui rifiuti è aumentata del 55%, con distorsioni evidenti sia a livello territoriale che tra le categorie economiche: un ristorante può arrivare a pagare il 1.900% in più di un altro. L’inefficienza dei Comuni ha un costo di 1,3 miliardi per cittadini e imprese.
Nonostante una significativa riduzione nella produzione dei rifiuti, negli ultimi cinque anni la Tari è aumentata del 55% per un importo aggiuntivo intorno ai 3 miliardi di euro.
Lo rivela un’analisi realizzata da Confcommercio e presentata nel corso di una conferenza stampa organizzata a Roma. Si tratta di cifre emblematiche di come la fiscalità locale continui rappresentare un peso crescente per le imprese, con un carico di tributi divenuto ormai troppo oneroso e ingiustificato se si considerano le iniquità e le inefficienze che lo caratterizzano.
Basti pensare che, nel caso della tassa sui rifiuti, alcune categorie economiche si sono trovate a fare i conti con distorsioni eclatanti: i ristoranti hanno visto aumentare i costi quasi del 500%, mentre ortofrutta, pizzerie e discoteche hanno superato addirittura il 600%.
Dallo studio effettuato dalla Confederazione emergono anche enormi differenze dei costi a livello territoriale: sono numerosi casi in cui la spesa per la gestione dei rifiuti, a parità di livelli qualitativi di servizio, vede differenze che arrivano fino al 900% anche tra Comuni limitrofi. Ancora più anomali i divari di costo tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni.
Per un albergo di 1.000 metri quadri, ad esempio, lo scostamento è del 983%, passando da un minimo di 1.200 euro ad un massimo di 13.000. Per un ristorante di 180 metri quadri si va dai 500 euro all’anno a quasi 10 mila (1.900%), mentre per un negozio di calzature di 50 metri quadri il divario registrato è del 677% con variazioni da un minimo di 90 euro l’anno a quasi 700 euro.
La situazione risulta poi aggravata dal peso dell’inefficienza delle Amministrazioni locali: il 62% dei Comuni capoluogo di provincia registra infatti una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni, peraltro associata a livelli di servizio e prestazioni inferiori: in alcuni casi lo scostamento dal fabbisogno è superiore all’80%.
Questa inefficienza produce un costo di 1,3 miliardi di euro di mancato risparmio, che potenzialmente avrebbe potuto rappresentare una riduzione del costo del servizio e quindi della tariffazione.