Gran finale lunedì 27 agosto, alle ore 21,30 per la VI edizione del Camerota Festival “Suoni dal Castello”, che anima l’incantevole cortile del Castello Marchesale di Camerota, come ormai d’abitudine, promossa dall’Associazione Culturale-Musicale Zefiro, presieduta da Giuseppe Marotta, che ne permette anche la visita ai tanti visitatori che frequentano la nostra costa, e diretta dal compositore Leo Cammarano, che disegna un’offerta di nicchia per un turismo, che desidera calarsi anche nel tessuto squisitamente culturale dell’accogliente territorio che lo ospita. Un festival, che si avvia verso una concreta istituzionalizzazione, sostenuto dal Comune di Camerota, unitamente alla Fondazione Meeting del Mare C.R.E.A., all’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, oltre ad un folto cartello di mecenati privati, consapevoli di esser parte attiva di un paese tra i più musicali della provincia di Salerno.
I riflettori del Castello di Camerota si accenderanno sulla Zefiro Chamber Orchestra Small Ensemble, composto da Francesca Tardio (Flauto), Andrea Marotta (Oboe), Gennaro Chirico (Clarinetto), Marco Alfano (Fagotto), Paolo Reda (Corno) Giuseppe Marotta e Gianpiero Saggiomo (Percussioni) e Francesco Saggiomo (Pianoforte) per l’esecuzione della favola musicale di Sergej Prokofiev “Pierino e il lupo” per voce recitante che sarà quella di Eleonora Claps e piccolo ensemble, in una trascrizione firmata da Michele Mangani. La nascita di questa fiaba musicale non fu un fulmine a ciel sereno. Prokof’ev nel 1935 era padre di due bambini alle prese con i primi compiti e le prime letterine. Spesso amava stare li, fermo per ore, a osservare i movimenti dei suoi figlioletti, ammaliato dalla spensieratezza dei giochi infantili. Quanto a educatore, pare che non fosse dei migliori; ai due piccoli ci pensava soprattutto la madre. Ma la produzione di quel periodo riflette un acume didattico straordinario, quell’esigenza di spargere i semi della bellezza che matura solo in chi è da poco diventato padre. Il primo passo, come sempre, venne dal pianoforte: dodici pezzi infantili che fondono psicologia infantile, sensibilità artistica e tecnica elementare. Ma l’anno successivo, il 1936, era già tempo di Tre canzoni infantili, che alla didattica tastieristica aggiungevano i primi problemi della vocalità: un pezzo alla volta, proprio come si fa quando si impara qualcosa da zero. Da lì il passo era breve alla fase successiva: l’educazione all’ascolto. E la commissione del Teatro Centrale per l’Infanzia di Mosca giunse proprio nel momento più opportuno, mentre Prokof’ev stava pensando a un modo per affiancare attività pratica ed esperienza fruitiva. Nel giro di due settimane Pierino e il lupo (questa sera la fiaba musicale è introdotta dalla Troïka del Luogotenente Kijé, sempre di Prokof’ev) era pronto per essere eseguito; l’evento avvenne il 2 maggio del 1936 a Mosca, senza eccessivi clamori da parte della critica; ma fu il pubblico degli Stati Uniti a consacrare la composizione di Prokof’ev nell’empireo della letteratura musicale per l’infanzia: un consenso vastissimo che spinse addirittura il coreografo Adolphe Bolm a trasformare la fiaba musicale in balletto. Ma qual’è il segreto di Pierino e il lupo? Che cosa c’è in quella partitura che avvicina da decenni i bambini alla musica? Il messaggio più semplice e più difficile nello stesso tempo: docere, senza dimenticare di movere e delectare, per dirla con i vecchi termini della retorica classica; ovvero insegnare senza dare l’impressione di farlo. La vicenda in se non ha nulla di eccezionale: Pierino è il piccolo eroe; e come tutti gli eroi si trova a contatto con amici (il Gatto, l’Uccellino, l’Anatra), alleati fedeli (il Nonno e i Cacciatori) e un inevitabile nemico: il Lupo. Questi divora l’Anatra in un solo boccone, ponendo le basi di un piccolo dramma da giardino; ma il Nonno aiuta Pierino a trovare i Cacciatori, i quali catturano il Lupo, recuperano l’Anatra dalla pancia del suo divoratore, e riportano il microcosmo infantile alla sua ordinaria tranquillità. Un buono, un cattivo e un lieto fine. Ciò che rende Pierino e il lupo uno straordinario strumento educativo non è tanto la morale, vecchia come le favole di Esopo, ma il messaggio artistico; ogni personaggio è incarnato musicalmente da uno strumento o da un piccolo impasto di strumenti (gli archi per Pierino, il flauto per l’Uccellino, l’oboe per l’Anatra, il Clarinetto per il gatto, il fagotto per il Nonno, i tre corni per il Lupo, timpani e grancassa per i Cacciatori); soluzione ideale per educare i bambini al riconoscimento dei colori che compongono la tavolozza orchestrale. Ma non basta, perchè Prokof’ev in Pierino e il lupo non insegna solo a individuare timbri; la sua scrittura educa con vivida efficacia alla semantica musicale. Che cosa c’è di più felino del tema associato al Gatto? Quell’incedere sornione racconta alla perfezione la coscienza sporca di chi ha sempre qualche marachella da farsi perdonare. Che cosa c’è di più aereo del volteggio affidato al flauto per dipingere l’Uccellino? Come si potrebbe esprimere meglio il brontolio di un nonno, che bonariamente si trova costretto a dire spesso la parola “no”? Infine, che cosa c’è di più spaventoso e nello stesso tempo silvestre dell’idea affidata ai tre corni per tratteggiare i lineamenti del Lupo? Ecco il vero segreto di Pierino e il lupo: insegnare il potere allusivo della musica, creando corrispondenze perfette tra suoni e immagini. Altro che simbolismi ispirati alle idee del potere dominante, come sostenuto da alcuni commentatori: Pierino come giovane proletario sovietico, l’Anatra come borghese codardo, i Cacciatori come burocrati e il Lupo come emblema del capitalismo. Prokof’ev pensava a qualcosa di molto più ambizioso, impossibile da imprigionare tra le sbarre della storia: l’idea che la musica sia sempre in contatto con il mondo dei significati e che poche note, a volte, siano molto più espressive di mille parole.