Un gruppo di scrittori, tutti, in un certo senso, validi ed attenti alle possibili innovazioni da portare alla tradizione ormai in crisi, dettero vita a una forma di letteratura realistica, per il modo col quale seppero guardare la vita nella sua realtà senza il velo della pietà o dell’ipocrisia. Essi sono: Alberto Moravia, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Carlo Bernari, Guido Piovene. Parleremo di Moravia, che si può considerare il capo-scuola di questo momento di crisi di tradizione, che non ha smarrito il sentimento della pena esistenziale, anzi lo ha pienamente assorbito nella propria coscienza, trasformandolo in un realismo pessimistico e amaro. Nacque a Roma il 1907, col nome di Alberto Pincherle. A venti anni aveva già scritto il suo primo libro Gli Indifferenti, che immediatamente lo collocò in aperta rottura coi Rondisti, che facevano riecheggiare il pregio e la finezza della nostra letteratura, affermando che lo stile e la lingua sono forme di eredità da rispettare col dovuto decoro.
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