Straziante fu il colloquio di addio con Stefano, che l’amava profondamente. Anche lei si era assuefatta al suo amore, alle sue premure, ma, in questo momento amaro della vita, nessun altro sentimento poteva pacificare l’animo di Mara se non quello di appartenere a Bube, che lei avrebbe atteso con rassegnazione fino al momento in cui egli fosse stato libero. Iniziò così per lei una vita nuova, fatta di attesa e di visite a lui nel carcere. Passavano gli anni l’uno sull’altro, ma la resistenza di Mara non si scalfiva: pensava che dopo gli anni di galera essi si sarebbero ritrovati ancora abbastanza giovani per mettere al mondo dei figli. Adesso era necessario tenerlo su e non permettere al suo spirito di spegnersi. Lo avrebbe sostenuto coi suo amore divenuto una forza smoderata di volontà attiva, nella disperazione che tentava di distruggerli entrambi. Per il piacere dei lettori stralciamo una piccola parte di un colloquio dietro le sbarre: “Basta, smettila” – gli intimò -. “Che uomo sei a disperarti così?”.
Bube smise. Ma continuava a tenere la faccia china. “Non ti devi abbattere. Cerca di star sereno. Hai i tuoi amici fuori, che non ti abbandonano mica. Sei nelle mani di un bravo avvocato. Andrà tutto a finir bene, vedrai. Ma tu non ti devi far prendere dall’avvilimento. Devi reagire, hai capito?”.
In pochi righi è tratteggiata mirabilmente una donna di grande cuore, che rapidamente si trasforma, nelle spire della sofferenza.
Niente più in lei potrebbe parlare dell’antica consuetudine ad essere capricciosa, imprevedibile, impaziente, consapevole di possedere una bellezza eccitante. Ora lei è solo una donna, provata inesorabilmente dalla vita, legata al suo uomo e alla sua sventura, con lacci inestricabili.
(Continua…)
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