Adesso gli oggetti sono destituiti di compattezza, di solidità, eppure le parole sono disposte come “arabeschi sapienti”, ed è l’ambivalenza di un mondo posto interamente in gioco, dove la fragile decorazione è lo schermo troppo esile per difendere dalla bufera, dall’orrore, dall’imprevedibile. Molti critici, tra cui il Contini, il De Robertis, il Getto, il Petrucciani, il Gargiulo… sono d’accordo nel ritenere che Montale, nelle sue due ultime opere, mette in risalto l’aridità sentimentale contemporanea, giungendo alla conoscenza più acuta dello stato del negativo presente, senza omettere, tuttavia, di rilevare la tensione religiosa del momento, espressa in modo ambiguo e contraddittorio dagli stessi Eliot, Lowel, Thomas e tanti altri… Secondo Montale, anche lo scatto religioso non è mai assoluto, ma commisurato alle cose, alle situazioni, e non fa quasi mai parte dell’oscura vicenda dell’amore e del mondo. Ne La Bufera il Montale distingue due momenti precisi e fondamentali che riguardano l’umana vicenda; l’oscurità del sentimento, che dovrebbe essere la leva dell’azione., e la ricerca metafisica, che è insieme attesa e scetticismo, tensione di salvezza e disperazione, illuminazione e negazione. Alla fine, tuttavia, il poeta, dalla rovina del mondo giunge a una “coscienza postuma, a un discorso al di là del tempo, intorno all’uomo, alla sua sorte, a una sistemazione del mondo entro un’ideologia stoica”.
Da La bufera: “ho suscitato / iridi su orizzonti di ragnatela / e petali sui tralicci delle inferriate, / mi sono alzato, sono ricaduto / sul fondo dove il secolo è il minuto / … l’attesa è lunga / il mio sogno di te non è finito” (Il sogno del prigioniero). In Ossi di seppia Montale aveva scritto: «Mi affisso nel pietrisco / … / fino alla ripa acclive / franosa, gialla, solcata / da strisce d’acqua piovana. / Mia vita è questo secco pendio, / mezzo non fine, strada aperta a sbocchi / di rigagnoli, lento franamento”.
(Continua…)
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