Ne Il dolore, infine, Ungaretti, partendo dalla propria esperienza di dòlore (la morte del figlio e quella del fratello), apre il suo spirito al vero canto del dolore umano. Non c’è presenza nella sua poesia di alcuna decorazione estetica o sovrastruttura letteraria, ma solo la parola diviene voce di assoluto, di un pathos che reclina nella meditazione, quasi una confessione o, meglio, una congiunzione con l’Eterno. “Il tuo cuore è la sede appassionata dell’amore non vano”. Rientrato nella tradizione letteraria non se ne allontanerà più, perché la sua poesia si avvale di una originale caratteristica, quella cioè di una forza di meditazione che lo porterà sempre più vicino ai valori poetici ed umani tradizionali, esprimendo una piena di sentimento, meravigliosa e meravigliante in un tempo di crisi tremenda della coscienza italiana ed europea.
Con Eugenio Montale abbiamo certamente l’interprete più geniale, antiretorico e scabro della tremenda temperie esistenziale, irta di punte acuminate, laceranti ogni possibilità di conquistare climi sereni ove deporre una speranza. Quanto alla sua esperienza poetica, essa non trova paragoni in altre forme di poesia, tanto grave, severo, autocontrollato ed umile nello stesso tempo egli appare già in Ossi di seppia.
Questo testo di poesie, accresciuto in un secondo momento, racchiude veramente l’aspetto del tempo in cui vide la luce (1925), dando al lettore un’immediata e condivisa consapevolezza della rovinosa caduta di ogni forma di valore antico. L’uomo, privato di ogni aspirazione a un futuro di certezza, vacilla vertiginosamente verso il baratro profondo della sua perduta identità umana. I suoi versi, le sue parole si conficcano nell’animo, come scolpiti, generando dolorosi pensieri irreversibili: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo possiamo dirti /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Le Occasioni costituite dalle poesie del testo “La casa del doganiere”, più altre composte più tardi, permettono a Montale una revisione stilistica, che, pur precisando e ribadendo il suo mondo morale, passa dai toni della tragedia ai modi del ragionamento. La critica lo definisce “testimone storico della rovina dei miti”. L’analogia tra l’oggetto e il simbolo diviene sempre più stretta e penetrante e la meditazione metafisica diviene tensione spasmodica nell’attesa di un elemento di salvezza, mentre in realtà la catastrofe incombe e pare non dia scampo. Finisterre del ‘48 e La bufera del ‘56 sembrano avere lo stesso filo conduttore di una tragedia portata al suo compimento.
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