Continua, sabato 9 giugno, alle ore 20, la V edizione del Festival di Musica da Camera Sant’Apollonia. Un evento, nato dalla sinergia del Conservatorio di Musica “G.Martucci” di Salerno, promotore di un progetto del Dipartimento di Musica d’Insieme, presieduto da Francesca Taviani, con la Bottega San Lazzaro di Chiara Natella che nella Chiesa di Santa Apollonia offre di ospitare la rassegna. Dopo aver proposto una riflessione sul trio con clarinetto, è il momento di indagare sulla più piccola delle formazioni, il duo.
Ad inaugurare la serata saranno Mauro Tamburo al violino in duo con Teresa Forlenza, al pianoforte. Sul piatto la Sonata n°7 op.30 n°2 in Do Minore di Ludwig van Beethoven, ultimata nell’estate del 1802. Improntata ad un’opposta temperie drammatica la pagina è certamente la più ampia e la più innovativa dell’opera 30, ormai completamente emancipata dai legami con la tradizione, come dimostra l’impiego stesso della tonalità di Do, strumento elettivo per quell’ispirazione tragica grandiosamente trasfigurata nelle opere della piena maturità. Ciò vale in modo particolare per il primo movimento, un Allegro con Brio, conciso e serrato, aperto da un tema assai semplice, affidato inizialmente al pianoforte. Apparentemente semplice nella sua articolazione motivica, l’Adagio cantabile, improntato ad una vena elegiaca “dolce, velata, molto nobile” , secondo Hector Berlioz, si pone in evidenza per la varietà dell’elaborazione, oltre a contemplare nell’estesa Coda la felice combinazione di una nova frase con frammenti del tema principale e con rapidi passaggi in piccole scale. Nello Scherzo si ascoltano inaspettati spostamenti di accenti che saranno tipici di analoghi movimenti della successiva produzione beethoveniana, mentre il Trio, nella medesima tonalità di do maggiore, si dipana a canone tra il violino e il pianoforte nel registro basso. Marcato da una foltissima tensione espressiva è il Finale sin dall’apparire del tema introduttivo in cui si enucleano due elementi, il primo ritmico e il secondo chiaramente melodico, nel contesto d’un movimento che combina assieme la forma-sonata con lo schema dei Rondò. Ed egualmente insolita e nuova, anche in questo tempo, è la Coda che corona la Sonata in do minore con un Presto dall’incedere violento e affannoso. La ribalta sarà quindi, interamente del sassofono alto di Lucia Acampora, che si presenterà al pubblico salernitano in duo con il pianista Raffaele Vitiello. La loro performance principierà con la Petite Suite Latine di Jerome Naulais, attraverso cui ci porteranno in viaggio tra Spagna, Cuba, Argentina e Brasile, complice quella sottile alchimia in cui s’intrecciano i contributi, a volte antagonisti dell’Europa, dell’Africa e delle civiltà precolombiane, connubi e reinterpretazioni inediti che hanno dato vita a Paso Doble, Valse lente, Cha Cha, Tango e Bossa Nova. Si resta in America del Sud, precisamente in Argentina con lo Studio n°3 di Astor Piazzolla. Un tango etude, questo, che rivela per intero il mondo espressivo del genio argentino, con il suo umore misterioso e malinconico, sensuale e mai mesto. Dedicarsi ad esso, significa rinnovare una tradizione, esaltando quei caratteri attraverso uno stile raffinato e talvolta persino complesso, ma nutrito anche da inflessioni di gusto jazz, mixati con elementi squisitamente classici. Vero jazzista, con ampia esperienza alle spalle è lo spagnolo Pedro Iturralde, una delle colonne del sax nella penisola iberica, rappresentante di punta del jazz-flamenco della fine anni Sessanta. Nella sua accattivante Suite Hellenique (conosciutissima è la danza Kalamatianós di apertura in 7/8) l’impianto jazz si mescola a suggestioni folcloriche nel pieno – e retrò – senso del termine e a contrastanti rapporti con splendide melodie funky o con i ritmi tradizionali di danza, dando corpo ad un sincretismo di infinita energia, in cui è già superata ogni barriera di separazione tra i diversi generi, spaziando tra antiche danze e canti popolari che rivivono in una incalzante antitesi di ritmi e armonie.
Domenica 10 giugno, omaggio al quartetto d’archi con pianoforte. Due le opere basilari che ascolteremo il Movimento di Quartetto (“Quartettsatz”) con pianoforte in la minore che costituisce un unicum nella produzione mahleriana, che non comprende altre composizioni prettamente cameristiche, un lavoro giovanile concepito durante gli studi di composizione e tuttavia già maturo nell’impianto che segue lo schema della forma-sonata con una resa pianistica debitrice dei supremi modelli di Schubert, Beethoven, Schumann, Brahms. A seguire, il Quartetto n°1 op.25 in Sol Minore di Johannes Brahms, una pagina di ampie proporzioni, con il pianoforte in posizione dominante, pur nel pieno rispetto del gioco contrappuntistico con gli archi, avvolto in un clima di dolce e affettuosa malinconia, tipicamente brahmsiana.