Il 3 giugno, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, quinto appuntamento in cartellone della IV edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e ideato dalle docenti del dipartimento di musica da camera Anna Bellagamba e Francesca Taviani. Serata monografica questa dedicata a Robert Schumann, che, sappiamo, amò dedicarsi alla musica secondo scelte di genere, coltivate lungo l’arco di periodi più o meno lunghi. Scrisse moltissimo per il pianoforte nel decennio seguente il 1830, al Lied si dedicò con entusiasmo nel 1840; il coro lo affascinò particolarmente tra il ’47 e il ’53. Così anche per la musica da camera, che lo interessò tra il ’42 e il ’53. Nel 1849, anno in cui compone i Phantasiestücke Op. 73, che ascolteremo dal duo composto dal clarinettista Francesco Pio Ferrentino e dalla pianista Rossella Giordano,
Schumann è a Dresda, dove lavora come Direttore della corale “Liedertafel”.
I Fantasiestücke sono pensati come un unico, ininterrotto discorso musicale, condotto sul filo di un Lied suggerito dalla voce del clarinetto e del pianoforte; i movimenti in realtà sono tre, concepiti come una progressiva accelerazione, a partire dal tono elegiaco delle battute del primo movimento, continuando nello Scherzo del secondo, fino al gioco di variazioni brillantemente innescate dall’ultimo movimento.
In quest’opera l’arte di Schumann si eleva e sublima in un fuoco sacro dell’anima, nei tre pezzi in successione, il successivo sempre più veloce del precedente, in un crescendo continuo di tensioni e di conflitti, non solo musicali. Seguirà un florilegio di lieder dalla raccolta Dichterliebe op.48, proposto dal soprano Colette Manciero e dalla pianista Rossella Giordano. Il ciclo “Dichterliebe” è il tipico Lied di Schumann sia per il rapporto fra musica e parola che per l’autorità conferita al pianoforte. A lungo ci si può interrogare sulle lunghe code, e più di tutti lo fanno i cantanti, costretti a reggere il palco per lunghi silenzi, ma questo ha una sua ragione: ci si sente parte di un completo e complesso discorso musicale. Sicuramente si continua a “vivere” dentro quella musica, e l’esperienza è ancora più profonda.
Gli elementi principali del Lied sono i fiori, l’acqua, gli uccelli e il loro canto, le lacrime, il sogno, l’amore – nel duplice aspetto di gioia e di paura di perderlo – e quindi il dolore, ma su tutto domina la morte, evocata in immagini e suoni, ma mai realmente presente. Finale riservato al Quintetto in Mi bemolle maggiore op.44, che verrà interpretato da Rossella Giordano al pianoforte, Jan Mleczko e Chiara Civale al violino, Francesca Senatore alla viola e Francesca Taviani al violoncello. Intere generazioni di musicisti si sono confrontate con il Quintetto con pianoforte di Schumann op. 44, uno dei vertici della letteratura musicale dell’Ottocento, e hanno provato a interpretarne variamente lo sviluppo. Il critico Hermann Abert vi ha riconosciuto la messa in scena di un dialogo, e quasi di una sfida, fra i due personaggi che rappresentavano i poli contrapposti dell’immaginario poetico schumanniano: l’impetuoso Florestan e l’analitico Eusebius. Il Quartetto pianoforte e archi è per alcuni aspetti un doppio del Quintetto: entrambi in mi bemolle, entrambi per pianoforte e archi, entrambi usano il richiamo tematico, entrambi mostrano il lato estroverso ed esuberante di Schumann. Però non sono affatto due opere gemelle. Se nel Quintetto l’equilibrio tra carattere pubblico e carattere privato pende verso il primo, nel Quartetto è il contrario. La presenza di un solo violino produce un mondo sonoro più intimo il cui più ovvio emblema è il sontuoso solo del violoncello all’inizio dell’Andante cantabile. Nell’Allegro brillante iniziale troviamo la consueta contrapposizione fra due temi ben distinti, una idea affermativa in mi bemolle e una più lirica in do minore; ma è soprattutto il rapporto di plastica integrazione fra il pianoforte e gli archi ad imporsi. Segue In modo d’una Marcia, con un sospirante tema di marcia funebre e una melodia più consolatoria, contrapposti a una sezione centrale più agitata. Dopo lo Scherzo – animato da brillantissime scale e da due diversissimi Trii – il finale, Allegro ma non troppo, è un rondò dall’intonazione entusiastica, il cui refrain possiede un che di slavo. L’ultima sorpresa di questo variegatissimo movimento è la riapparizione, con entrate in imitazione, del tema dell’Allegro brillante iniziale, a riaffermare l’unità concettuale della partitura e il debito tutto romantico verso la polifonia bachiana.