San Giovanni a Piro: il Cenobio basiliano.

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di Pasquale Martucci

San Giovanni a Piro è il paese degli archi, delle stradine strette, delle scale e balaustre, dei comignoli merlati, dei portali e delle fontane. Ma è soprattutto il luogo del Cenobio Basiliano, o Badia Basiliana, fondato in Contrada Ceraseto dai Padri dell’Ordine di San Basilio Magno, i monaci italogreci venuti dall’Epiro al tempo della lotta iconoclasta, che ebbe una giurisdizione autonoma in campo spirituale e temporale. Dopo aver eretto il Cenobio e la chiesa di San Giovanni Battista, pensando alla difesa dalle incursioni barbaresche, i monaci costruirono anche un castello merlato di circa quindici metri.

Per valorizzare questo suggestivo luogo, da anni si svolge il “Palio delle Contrade”, con giochi tradizionali e momenti di festa. La data della manifestazione è legata alla presenza degli emigranti in paese ed è finalizzata alla rivalutazione del centro antico per riscoprire la cultura ed i momenti aggregativi che sono volti alla leale competizione tra paese e zone periferiche. È la sfida di quattro quartieri del capoluogo: Tornito, Ponte, Capo la Scala e Paese. Le squadre si affrontano nei giochi: “mazza e pivuzo”, “zompa ‘ncuollo”, “corsa con gli asini”, tutto ciò che ha a che fare con la tradizione. Ogni contrada ha un suo vessillo, con propri colori.

Se gli storici concordano sulle origini di un paese legato alle vicende dei monaci basiliani, meno però appare la derivazione del toponimo “a Piro”. “Ton-apeiron” sarebbe il termine greco che, per il Cappelli, vuol dire “il remoto”, “il nascosto”, riferendosi alla posizione geografica dell’Abbazia. Qualcuno avanza l’ipotesi: “pur-roV”, fuoco, legato alla distruzione di Policastro. Altri ritengono che il toponimo in questione faccia riferimento all’usanza dei profughi di rinnovare le memorie dell’abbandonata patria, per cui con il termine: “ab Epiro”, mutato poi, col passare dei secoli in “a Piro”, si intende proprio il luogo di provenienza dei frati di San Basilio. Tra le tante spiegazioni emerge quella del Di Luccia, che si riferisce al dialetto: “piro”, l’albero di pero, in quanto nel luogo del sorto villaggio vi era appunto un grande albero di pero. Oggi, lo stemma del Comune rappresenta proprio una pianta di pero con due leoni rampanti, a testimonianza della volontà del popolo di resistere, ad ogni costo, alle difficoltà.

Tra il IV ed il IX secolo il Sud il Cilento, lungo la costa, si presentava disabitato per le continue incursioni dei pirati saraceni: la ripresa del territorio ebbe come protagonisti i centri monastici, da cui partirono le opere di bonifica, di messa a coltura dei campi e la formazione di piccoli villaggi agricoli.

Nel VI secolo, San Giovanni a Piro era uno dei massimi centri religiosi: la chiesa, il Cenobio e una fortificazione fino alla montagna. Verso il 910, San Nilo venne da Rossano Calabro desideroso di vita eremitica e penitente. Si rivolse al monastero di Roccagloriosa chiedendo di poter indossare l’abito monacale. Fu invitato a restare per quaranta giorni nel vicino Cenobio di San Giovanni e poi fece ritorno a Roccagloriosa. Nilo in seguito visse in romitaggio in una grotta dove con il tempo si radunarono alcuni fedeli dando vita al casale di Celle di Bulgheria.

I seguaci di san Basilio, dediti allo studio e alla trascrizione dei codici teologici, costituirono i cenobi per aggregare gli abitanti. Il territorio fu reso fertile, furono realizzati frantoi e mulini, riparate strade, bonificate zone allagate dalle acque, costruiti villaggi agricoli destinati a svilupparsi in importanti centri urbani. E proprio qui, nel 990 d.C. i monaci fondarono l’Abbadia di San Giovanni Battista. Per difenderla da attacchi e incursioni, nella parte occidentale, a qualche metro di distanza dalla chiesa, fu costruita, a scopo di difesa e di avvistamento sul mare, una massiccia torre merlata dell’altezza di circa 20 metri. Sia la chiesa che la torre, per maggiore sicurezza in caso di pericolo, erano collegate, probabilmente attraverso un lungo camminamento sotterraneo, ad una grotta nel fianco orientale del Monte di Bulgheria. Esistono tuttora, in questo luogo, resti di antiche costruzioni murarie erette a scopi protettivi: una cripta sotterranea, forse, veniva impiegata per la celebrazione di alcuni riti; essa aveva sul muro del lato nord le tracce di un’antica apertura che forse collegava alla grotta.

Per monsignor Luigi Tancredi, compianto storico meridionale, il periodo medievale è quello più affascinante, in quanto si ispira al Vangelo e alla civiltà che ne è derivata, producendo a livello territoriale le Università, le Cattedrali, i chiostri popolati di gente decisa a vivere in pienezza il messaggio evangelico. In questa età il Cenobio di San Giovanni svolse la sua opera affermando l’ascetismo, i valori umani e cristiani, la difesa degli oppressi, degli emarginati e dei bisognosi.

L’importante Cenobio del Monte Bulgheria fu istituito in Commenda da Pio II nel 1462 e passò nel 1587 alla Cappella del SS. Presepe di S. Maria Maggiore in Roma. Il Cenobio tra i secoli X e XIV fu fiorente cenacolo di scienza e di pietà. Teodoro Gaza, che redasse gli statuti che fino al 1806 ressero la vita del paese e degli altri 44 borghi del Monte Bulgheria, difese la sopravvivenza del Cenobio. Poi ci fu il declino fino al 1400, l’epoca di Gaza. Nell’ottocento al tempo dei francesi l’abbandono fu totale. Il luogo fu spogliato della ricca biblioteca e delle numerose opere d’arte: il Cenobio fu ridotto ad ospitare un solo monaco. Oggi sono visibili tra i ruderi la Chiesa di San Giovanni Battista ed una Torre merlata.

Se il progetto di qualche anno fa era quello di restaurare il Cenobio e renderlo centro permanente di studi sul fenomeno del monachesimo, realizzando un museo d’arte e cultura popolare, oggi si ritorna a pensare ad una serie di iniziative che vedano il Cenobio Basiliano centro propulsore dell’intera zona del Monte Bulgheria.