Il salasso Imu per le imprese. Perché non introdurre dei correttivi per la crisi e il baratto con addizionale comunale di nuovi assunti?

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carrellaa cura del Dr. Vincenzo Carrella, dottore commercialista, giornalista economico ed analista

E’ costata appena 5 miliardi di euro alle sole imprese il saldo TASI-IMU in scadenza lo scorso mercoledì 16 dicembre. Se allarghiamo il nostro orizzonte e consideriamo anche le residenze ( prime e seconde case) la cambiale incassata nella suo totale ammontare dal “forziere Italiano” sulla pelle dei proprietari/ contribuenti italiani ammonta nel 2015 a 23,7 miliardi Numeri e cifre che lasciano interdetti e soprattutto indifesi a conferma che abbiamo in Italia una pressione fiscale smodata sull’immobile che provoca reazioni a catena su proprietà e mercato, compravendita e affitto: nessuno dei politici sembra dargli peso e importanza visto anche che nella legge di stabilità all’esame di Montecitorio sull’Imu la chiusura è assoluta

Dal 2011- ultimo anno in cui abbiamo pagato l’ICI- al 2015, l’incremento del carico fiscale sugli immobili ad uso produttivo e commerciale è stato spaventoso. Si parla- con cifre alla mano – di un incremento medio di tre punti percentuali : 135% Tutto ciò ha dell’incredibile e soprattutto è sempre più radicata la convinzione che il capannone assume un autentico indice/ elemento di ricchezza per i suoi proprietari e ciò in barba al principio sacro dell’art 53 della nostra costituzione laddove enuncia e specifica il “tradizionale concetto del concorso del contribuente/cittadino alla spesa pubblica sulla base del principio della proporzionalità delle sue “entrate”.

Smarrito, rectius completamente perso, quindi il suo popolare profilo sia giuridico che amministrativo-contabile di Immobile inteso quale bene strumentale necessario per produrre valore aggiunto per l’impresa , dove la superficie e la cubatura sono funzionali all’attività produttiva esercitata e non indicazione di sfarzo e/o opulenza .

Accanirsi fiscalmente su questi immobili come è avvenuto in questi ultimi anni non ha alcun senso, se non quello di far fare cassa ai Comuni per alimentare le spese di funzionamento di tali enti ( leggasi spese correnti, nda) , danneggiando però l’economia reale di un intero Paese con conseguenze inesorabili specie sulla “nuova occupazione”. L’analisi condotta tra i Comuni capoluogo di provincia porta quale risultato la rilevazione che il 68% di detti enti ha applicato sui capannoni un’aliquota TASI + IMU pari o superiore al valore massimo Come i comuni potrebbero subentrare e integrare i loro aiuti a tali imprese?

In primis premiare le imprese locali attive che assumono . Invogliando ai sensi e per effetto dell’art. 52 dlgs 446/1997 proprio l’applicazione delle agevolazioni sulle assunzioni introdotte già con la Stabilità 2015 e confermate per il 2016 concedendo un ”abbuono sulla IUC” alle imprese che vi provvedono. In che misura? Per un importo proprio pari alle addizionali comunali applicate sulle retribuzioni delle nuove assunzioni locali. In termini spiccioli, una potenziale e regolare nuova “forza lavoro” contribuisce – in termini di pagamento di tasse (irpef, addizionali regionali e comunali) – a far entrare nelle casse comunali “fresche e novelle” risorse finanziarie. Per tutte tali “assunzioni agevolate”, quindi, il Comune potrebbe promuovere da subito tali “sconti” sul pagamento della IUC. Così agendo – c’è da starne certi – nessuna delle parti coinvolte ci perde in termini di incasso/pagamento: il minor gettito del Comune per la Iuc “abbonata” sarà coperta dall’addizionale comunale versata dalle imprese per l’impiego della nuova e fresca “forza lavoro”. Anche proceduralmente non sembra vi siano particolari adempimenti ulteriori se non quello di dimostrare (attraverso anche una dedicata rete telematica per le imprese) all’ente le formalità riferite alle assunzioni “agevolate effettuate”. Occorrerà solo una delibera comunale e modifiche ai previsti regolamenti con dichiarazioni da parte delle imprese da rendere telematicamente entro il 31 gennaio dell’anno successivo: sarà per i politici territoriali – una volta tanto – l’occasione di mostrare agli imprenditori una propensione concreta al “fare”, consentendo per giunta di rendere ancora più ghiotte e appetibili (in termini di risparmi previsti) per le imprese le “assunzioni agevolate di cittadini della propria comunità ”.

Come intervenire , invece, sul fronte delle imprese inghiottite dalla crisi in atto e di fatto inoperative nel senso che non svolgono alcuna attività pur restando proprietari di opifci e/o laboratori ? Tassare , rectius “estorcere” il solo possesso dell’immobile – se pur a titolo di proprietà- darebbe adito di far vestire gli autori della “rapina legalizzata ” ( le amministrazioni locali, nda ) gli insoliti panni “ di boss incalliti” .

Come allora intervenire ristabilendo equità e giustizia al prelievo? Si potrebbe escogitare un “sistema-criterio” al pari di quello utilizzato dall’agenzia delle entrate sia nell’elaborazione dei sw per la congruità di ricavi da studi di settore” inserendo “autentici” valori di “correttivi anti crisi” e sia per ciò che attiene la tipica disciplina antielusiva delle società di comodo di cui all’articolo 30 della legge 724/1994 .

In tale ultimo caso- lo ricordiamo- il coefficiente ordinario del 6% applicato sul valore dell’immobile – utilizzato dal fisco per la determinazione minima del ricavo utile per la “fotografia” del reddito minimo – non viene considerato se l’immobile risulta “improduttivo nei suoi assets aziendali”.
Perché allora da questi esempi sviluppati dalla “signora madre agenzia delle entrate” non prenderne spunto e effettuare un interessante “download “ anche sui tributi locali?
L’equità e la giustizia tributaria attecchirebbe anche in un ambito più locale Il dubbio resta: chissà se gli amministratori locali risultano capaci a focalizzare l’idea progettuale, interpretarla e … applicarla visto e testato il loro perenne annebbiamento e l’insistenza della loro “materia grigia” nell’area di pieno “default”.