Gli italiani hanno respinto la riforma costituzionale promossa dal Governo di Matteo Renzi e da Maria Elena Boschi, ministro per le riforme. Il referendum confermativo ha avuto un esito chiarissimo, ha votato NO alla riforma il 59,11% dei votanti, mentre solo il 40,89% ha votato Sì.
Molto buona l’affluenza, è andato a votare il 65,47% degli aventi diritto.
L’esito del risultato referendario è apparso subito chiaro, e questa volta gli exit poll e le proiezioni sono stati confermati dal risultato delle urne.
La conseguenza politica è stata praticamente immediata: il premier Renzi a mezzanotte si è presentato in sala stampa a Palazzo Chigi ed ha annunciato le dimissioni: Il popolo italiano “ha parlato in modo inequivocabile chiaro e netto“, ha detto il premier Matteo Renzi. “Questa riforma è stata quella che abbiamo portato al voto, non siamo stati convincenti, mi dispiace, ma andiamo via senza rimorsi. Come era chiaro sin dall’inizio l’esperienza del mio governo finisce qui”, ha detto ancora Renzi. “Nel pomeriggio riunirò il consiglio dei ministri e poi salirò al Quirinale per consegnare al presidente della Repubblica le dimissioni“. Del resto Renzi aveva sempre ripetuto che avrebbe lasciato la guida del governo se la riforma costituzionale non fosse stata confermata dal referendum.
Esultano invece i partiti dell’opposizione, in primis il Movimento 5 Stelle e la Lega, sia Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, sia Matteo Salvini hanno chiesto che si vada alle elezioni anticipate perchè la legislatura di fatto si è esaurita. Per il voto anticipato anche Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Più sfumata la posizione di Forza Italia che per bocca del capogruppo Renato Brunetta (in questi giorni salito sulle cronache per via di sua moglie Titty che aniava Twitter con lo pseudonimo di Beatrice Di Maio) chiede al Pd che faccia un altro governo senza Renzi. Berlusconi non ha parlato ma il governatore della Liguria Toti ha escluso che possa esserci un nuovo Patto del Nazareno.
Ora la parola passa al Presidente della Repubblica Mattarella ma sembra improbabile che il Capo dello Stato possa sciogliere subito le Camere. C’è innanzitutto da uniformare i sistemi elettorali di Camera e Senato, al momento si eleggerebbe la Camera con l’Italicum (che quando è stato approvato in via definitiva nel 2015 implicava che con la riforma costituzionale il Senato non sarebbe stato più elettivo), che prevede premi di maggioranza e doppio turno, mentre per il Senato sarebbe ancora valido il cosiddetto Consultellum, cioè la legge elettorale adottata dal 2006 al 2013 (il Porcellum, nome datogli dal leghista Calderoli che la considerò una “porcata”) così come modificata dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che l’ha dichiarata in parte illegittima costituzionalmente, nella parte che riguardava l’attribuzione del premio di maggioranza, e che quindi assomiglia molto al proporzionale puro. Va da sè che ci si trova in presenza di due sistemi elettorali contraddittori, uno maggioritario a doppio turno ed uno proporzionale a turno unico. Non solo ma anche sull’Italicum stesso pende un giudizio di legittimità costituzionale da parte della Consulta, che secondo alcuni rumors avrebbe in realtà già deciso da tempo e non avrebbe ancora comunicato il verdetto per non influenzare il voto referendario, ed addirittura avrebbe dichiarato incostituzionale il sistema del premio di maggioranza di lista e finanche il meccanismo di ballottaggio.
Improbabile anche un rinvio di Renzi alle Camere (cosa che Mattarella avrebbe voluto fare in caso di vittoria del NO) anche per le proporzioni del risultato del referendum, così come un Renzi bis, anche perchè il premier uscente sembra intenzionato a giocare le sue carte da segretario del Pd, soprattutto per contenere la minoranza interna e gli esponenti di spicco come D’Alema e Bersani che si sono schierati apertamente per il NO. La battaglia quindi si sposta anche all’interno del Pd stesso, la presenza di D’Alema nella maratona elettorale televisiva non era casuale.
Più probabile allora che Mattarella decida di formare un “governo di scopo”, cioè che abbia il compito di modificare la legge elettorale e gestire il cambio di legislatura, i nomi sul tavolo sono quelli di due ministri del Governo uscente, come il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (che avrebbe anche l’effetto di rassicurare l’Ue, che comunque ieri ha avuto una buona notizia dalle presidenziali in Austria) o come il Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio che sarebbe anche un fedelissimo di Renzi. Pista alternativa quella del governo istituzionale guidato dal Presidente del Senato Grasso. Questo pomeriggio Renzi si recheraà al Quirinale e da lì inizierà il giro delle consultazioni di Mattarella.
Tornando al risultato del referendum, il No ha vinto in quasi tutte le regioni, il Sì ha prevalso, e con maggioranze risicate, solo nel Trentino e nelle “rosse” Emilia-Romagna e Toscana.
Per quello che riguarda il voto in Campania, il NO ha prevalso con precentuali anche maggiori rispetto alla media nazionale, registrando il 68,52% dei voti contro il 31,48% del Sì, con uno scarto che sfiora il milione di voti.
Grande sconfitto dunque il governatore Vincenzo De Luca, che si era anche prodotto in un videoappello a chiusura della campagna elettorale, il cui auspicato da Renzi effetto trainante non c’è stato, anzi a vedere bene anche nelle roccaforti deluchiane come Salerno ha prevalso il NO, a Salerno città il No ha toccato quota 60%, percentuale che sale al 64,69% se si considera tutta la provincia. Persino ad Agropoli, paese il cui sindaco è Franco Alfieri, consigliere delegato all’agricoltura in Regione e fedelissimo di De Luca, alla ribalta delle cronache di questi ultimi giorni per il caso “fritture di pesce”, il NO si è attestato al 67,78%.
Sfiora invece il 70% il NO a Napoli, in città 68,28% per il NO contro il 31,72 del Sì, con un’affluenza confortante, attestatasi sul 53,86%, mentre nell’area metropolitana il NO sfonda anche quota 70%. Quota 70% superata anche nella provincia di Caserta (71,69%), mentre il NO a Caserta città si attesta al 65,75%. In Irpinia ricalcato il trend nazionale, con il NO che è prevalso con il 61,30%, con il 60,30% di Avellino città. Infine Benevento dove il NO ha preso il 67,03% (mentre supera quota 70% a Benevento città).
Nelle grandi città, a parte Milano dove il Sì conquista il 51% (ma nell’intera area metropolitana prevale il NO con il 52,62%), prevale dunque il NO, 59,42% a Roma, 53,58 a Torino, 72,31% a Palermo. In particolare nei 100 comuni con più disoccupati il No vince con il 65,8%, nei 100 con meno disoccupati vince il Sì con il 59% .
E’ stata anche la vittoria dei social media, dove la tendenza è sempre stata orientata al NO contro i media tradizionali. Dura la requisitoria di Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, contro i colleghi della carta stampata e della televisione rei di aver messo l’elmetto a difesa del premier.
Per finire, la giornata di ieri è stata animata dal “caso matite”, da molti seggi sono arrivate denunce di elettori che lamentavano la presenza di matite non copiative per espletare le operazioni di voto, la più clamorosa da parte del cantante Piero Pelù. In realtà qualsiasi tentativo di cancellazione del segno messo a matita sulla scheda elettorale lascerebbe evidenti segni di abrasione sulla scheda stessa rendendola di fatto nulla, come precisato dal Viminale.