“Il taglio dei parlamentari sminuisce l’importanza del Parlamento e rischia di compromettere la rappresentatività degli elettori”. Così Gianluca Mastrovito, Presidente provinciale delle Acli salernitane. “Una scelta tranchant, che va a incidere direttamente sulla relazione tra i cittadini e le istituzioni: significherà, infatti, che ogni territorio sarà rappresentato, nella sua molteplicità, da singoli individui che perderanno il contatto con la comunità locale e diventeranno sempre più politici per mestiere. È necessario aprire un dibattito serio, per capire verso quale modello di democrazia andiamo e come salvaguardare la relazione tra i cittadini e le istituzioni”.
Il taglio lineare sulla PA, che ha di fatto ridefinito il perimetro d’azione e della geografia delle amministrazioni di prossimità sappiamo com è andata; si genera sempre più disintermediazione neila cura dei bisogni della collettività.
In questa autoriduzione democratica c’è l’amarezza di una scelta non ponderata; per salvarsi la politica, sceglie di andare a vivere in un appartamento più piccolo, forse più adatto alle sue attuali esigenze e risorse, dove ci sta meno gente e dunque dove il luogo diventa meno centrale. Se il parlamento è il cuore della politica, allora la politica sceglie deliberatamente di perdere centralità.
Se riteniamo che la politica, quale mediazione dei bisogni di una intera collettività, dipenda dalle decisioni del popolo, allora è ragionevole pensare che l’assemblea rappresentativa sia vivace, popolata e partecipata. Riducendo il numero dei parlamentari, il rischio è puntare verso carriere politiche professionistiche, magari emotivamente scollegate con le comunità dalle quali provengono.
Ma ciò che ci imbarazza e preoccupa è senz’altro il tradimento del sogno costituzionale degli anni del dopoguerra, che guardava ad un Parlamento ricco di popolo, di mestieri e di estrazioni popolari differenti. Un luogo di rappresentanza e non di élite e poco più, abitato dai molti “mondi sociali”; dall’operaio al docente universitario, si diceva ieri, dal rider al consulente finanziario, si potrebbe dire oggi. Forse dobbiamo prendere atto del fallimento di questo modello, aperto e realmente popolare, e la sua sostituzione con un modello per il momento poco chiaro, poco esplicitato.
La questione non è il numero ma il modello: quale rapporto ipotizziamo tra popolo, potere e politica? Se non si risponde a questa domanda, si fatica a capire ogni riduzione.
Al momento, sembra che della politica prevalga una concezione ragionieristica o di riduzione del danno. E’ proprio questo approccio che il Referendum deve scongiurare; considerare la politica come danno e elemento da ridurre.
Siamo consapevoli – continua Mastrovito – che senza un’adeguata manutenzione istituzionale, la politica rischia di trasformarsi in antipolitica, non consentendo approfondimenti utili a rifondare un idea di Politica e Democrazia e necessari a rafforzare l’identità del Paese.
La questione – conclude Mastrovito – ruota attorno al rapporto tra la politica, il potere e il popolo e quale idea di democrazia vogliamo affermare. Poi la logica (irragionevole) sottesa ad una spendig review dei costi della democrazia è inqualificabile; le dittature costano molto di più!