Oggi sono ritornata dopo 40 anni in una struttura che è sicuramente altro spazio della cura e del servizio pubblico sanitario, ma che allora era il luogo dell’annientamento della dignità umana. L’ex Ospedale psichiatrico Consortile “Vittorio Emanuele II” di Nocera Inferiore, oggi luogo di accoglienza e di serenità, rappresenta per chi in quegli anni ha combattuto il degrado e l’abbandono, un punto di eccellenza del servizio sanitario in ambito psichiatrico e non solo. Laboratori, un Teatro, un bar dove Antonino ti accoglie con un sorriso e ti serve il caffè in un vassoio come fossi a casa sua. Ebbene sì, lui lì ci vive e ci lavora dal 1971 e prima di lui il papà. Cerco, tra gli sguardi degli ospiti di questa tre giorni di memoria e ricordi di quegli anni bui, in cui si accese la luce della speranza con il vento del nord-est nazionale, di un uomo lungimirante quale fu Franco Basaglia, la stessa luce di allora. La trovo in Mafalda e in Giovanni , in Roberto e Anna, che mi sorridono e mi chiedono di chiacchierare un po’ con loro. Oggi questo luogo è per molti famiglia, allora le famiglie avvilite dalla loro incapacità di gestire un figlio, un padre, una sorella fin troppo problematici, scelsero l’istituzione chiusa : il manicomio.
Fa paura solo pronunciarlo quel nome , ma è ancor più terribile vedere alcune grate ancora lì, a ricordare che cosa è stato quel luogo. Conobbi il giovane dott. Giulio Corrivetti e il sociologo Antonio, detto Tonino, Oddati; facevano parte di un gruppo denominato “Psichiatria Democratica”. Partecipavo con i compagni di studi alle loro riunioni. Eravamo tutti affascinati dalla possibilità di salvare quelle persone, sì “ persone”, perché tali erano, nonostante tutto. Molti erano nostri coetanei e vivevano l’inferno e l’abisso della reclusione. Con molti di loro riuscimmo, grazie alla tenacia di medici, direttori sanitari, politici, che amavano il proprio territorio e che a Roma, nelle sedi Istituzionali e governative, si battevano per migliorarne la condizione di eterno sud, fanalino di coda di un nord che si dava da fare. Molti pazienti restarono in strutture cosiddette protette, qualcuno rientrò in famiglia ma molti respirarono il profumo di libertà che sostituì quello di urina e fumo tipica di quel luogo.
“Sigarette… cient’ lire” ti chiedevano e poi ti sorridevano senza denti.
In questa celebrazione del quarantennale della “Legge Basaglia”, che rivoluzionò la psichiatria in Italia, decretando la chiusura dei “manicomi” e riformando l’organizzazione psichiatrica ospedaliera e territoriale, dall’11 al 13 maggio gli spazi dell’ex Ospedale Psichiatrico “V.Emanuele II” di Nocera Inferiore hanno ospitato mostre, dibattiti e spettacoli, trasformandosi in un vero e proprio villaggio aperto a tutti i cittadini e non solo agli addetti ai lavori. Il quadriportico del cortile principale, di settecentesca architettura, imponente e maestoso si è trasformato in un colorato quadrato di stand con manufatti artistici, realizzati dai pazienti nell’ambito dei progetti riabilitativi delle Unità Operative di Salute Mentale e dalle Strutture Intermedie Residenziali che fanno capo al Dipartimento di Salute mentale dell’Asl Salerno. Il dott. Corrivetti oggi ne è il direttore generale e si aggira incredulo tra questi spazi con i suoi colleghi e con il direttore generale Antonio Giordano, la dott.ssa Giuseppina Salomone , presidente della Fondazione CeRPS .
Intanto nel teatro “agli Olivetani” , all’interno dell’ex ospedale si tiene uno spettacolo teatrale e musicale, realizzato da utenti ed operatori.
Nella sede della Fondazione CeRPS, la mostra di foto storiche originali di Luciano D’Alessandro e la sala dei Convegno intitolata a Sergio Piro, psichiatra anch’egli rivoluzionario che a Napoli e poi a Materdomini portò innovazioni epocali, emoziona chiunque vi entri. Il verde speranza delle pareti nel contrasto con foto che immortalano in scatti magistrali la non – vita di quei pazienti di allora, accende i riflettori ancora una volta sulla sofferenza, che si rianima, ma che grida memoria e libertà. Il percorso “Scritte sulle mura” è per noi tutti un monito a non dimenticare e a non mollare mai, per abbattere insieme quei muri dell’indifferenza, della solitudine in una società, che tende spesso a dimenticare o a non guardare neanche una fotografia troppo dura, specchio della nostra immaginaria normalità.
Gilda Ricci