Dacca, otto milioni di abitanti, capitale del Bangladesh. Ieri, Primo maggio, a Dacca, Bangladesh, i poliziotti hanno picchiato con le verghe i lavoratori bambini che protestavano per il crollo di solo pochi giorni fa del palazzo di otto piani che ospitava una decina di fabbriche tessili con duemila lavoratori bambini. 379 sono rimasti sepolti sotto le macerie della ‘fabbrica delle fabbriche’.
Lavoravano, questi bambini, per esaurire gli ordini delle imprese tessili dei paesi ‘sviluppati’. Le imprese che fanno la moda, quelle dei marchi prestigiosi, come la ‘nostra’ Benetton. Non sarebbe una sorpresa se scoprissimo, nei prossimi giorni, che una parte del nostro vantato ‘made in Italy’ viene sfornato a Dacca. E, comunque, è in posti come questo che viene prodotto, nelle tante Dacca del pianeta globale. Come nelle Dacca che si nascondono nei sottoscala delle nostre stesse periferie urbane.
Lavoravano, questi bambini per un salario di 38 dollari al mese, per un orario di lavoro indefinito, e in condizioni per cui non riusciamo a trovare un termine adatto a definirle. Perché dobbiamo ancora inventarla, oggi, una parola che renda, ad un tempo, la denuncia delle condizioni materiali di lavoro e il rigetto morale e la vergogna per l’immiserimento della condizione umana. Di lavoratori bambini.
Ernesto Scelza
Salerno 1 maggio 2013