Presentato a Cava il Centro per la famiglia del Piano di Zona S2.

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Creare un tessuto di legami, relazioni, terreni di confronto e di scambio, tra gli adulti e i piccoli della comunità, in cui ciascun elemento possa sentirsi accolto, preso in carico, valorizzato e dunque accrescere le proprie competenze e il proprio valore personale. Con queste finalità nasce il centro per la famiglia ed assistenza domiciliare socio – educativa ai minori nei comuni dell’ambito territoriale S2. La sede a Cava dei Tirreni, presso l’ex circoscrizione di Pregiato.

La mission si articola in dodici punti: accoglienza, mediazione familiare, spazio neutro, consulenze psicologiche e pedagogiche, centro crisi famiglia, gruppi di ascolto genitori, spazio dell’attesa, spazio bimbi (servizio aggiuntivo) percorso famiglie solidali, rete, seminari tematici, comunità di famiglie.

«Più che parlare di centro per la famiglia, di assistenza domiciliare ai minori preferiamo parlare di intervento educativo a sostegno della genitorialità e delle famiglie in difficoltà – ha spiegato in conferenza stampa Elena Palma Silvestri, presidente della Cooperativa sociale La Città della Luna – quindi, di un intervento che coinvolge il sistema-famiglia, a sua volta inserito in un sistema ancor più articolato e complesso qual è la società ed il contesto territoriale di riferimento. Avviamo questo progetto sulla base dei fabbisogni che l’Ente ci ha comunicato ma siamo pronti, nei tempi e nei modi che reciprocamente ci daremo, ad andare oltre: auspichiamo che questa attività rappresenti una porta d’accesso per lo sviluppo di un sistema di welfare comunitario sul territorio metelliano e zone limitrofe».

In questa ottica il minore e/o l’adolescente diviene, per così dire, il “pretesto” dell’intervento educativo che ha come destinatario l’intero nucleo familiare ed il suo sistema di relazioni primarie e secondarie. Spesso l’intervento di tutoraggio è richiesto perché quel particolare minore assume condotte irregolari o manifesta disagi a vari livelli (sovente sono minori già in carico da tempo ai servizi socio-sanitari), ma è evidente che quel minore è soltanto la spia di un cattivo funzionamento del suo sistema familiare nonché l’espressione dell’incapacità o del fallimento dei genitori nell’esercizio delle loro funzioni genitoriali, quest’ultime, riassumibili come “l’insieme dei comportamenti volti all’accudimento materiale e psicologico”.

È proprio qui che si inserisce l’intervento educativo domiciliare ai minori, inteso come strumento utile in un progetto di sostegno alla funzione genitoriale che spesso, per una sua buona riuscita, coinvolge e deve coinvolgere altri servizi e professionalità, nell’ottica che vede il benessere della coppia genitoriale e lo svolgimento adeguato della sua funzione una necessità per il corretto sviluppo psico-fisico del minore.

Il compito dello staff sarà quello di agevolare gli utenti a gestire i propri problemi, utilizzando le proprie risorse personali e rendendo pienamente responsabili delle eventuali scelte. In questo modo verranno promosse la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato. Tutto ciò sarà possibile mettendo a disposizione degli utenti tempo, attenzione e rispetto; costruendo un clima che favorisca la personale espressione; promuovendo un’atmosfera di fiducia; approfondendo le motivazioni e le aspettative; formulando con il ragazzo/a un’ipotesi di lavoro ed un contratto: regole, obiettivi, compiti.

Il servizio viene inteso come un vero e proprio “patto di solidarietà” a favore della crescita, dello sviluppo e del miglioramento della qualità della vita dell’utente e della sua famiglia. Questo, certo, non impedisce che le dinamiche intrapsichiche e di sistema che minacciano la relazione siano arginate dalla scelta di una modalità contrattuale di presa in carico; ma il contratto rappresenta, per tutto il percorso, un punto di riferimento oggettivo, un ancoraggio ad elementi di realtà, ai limiti e alle possibilità dei singoli, della relazione e dell’assistenza stessa.

OBIETTIVI Sperimentare e valutare l’efficacia dei servizi “Centro per la Famiglia” e “Assistenza Socio- Educativa Domiciliare per minori” come strumento per intercettare, prevenire e intervenire sul disagio delle famiglie e dei minori di Cava de’ Tirreni attraverso il modello delle riunioni di famiglia (RDF). Le RDF sono uno strumento interessante per due ragioni fondamentali. In primo luogo perché mirano a restituire un pieno ruolo educativo e di cura alla famiglia e al contesto sociale in cui si manifesta il problema di disagio, evitando o riducendo la delega completa di questi compiti alle figure e ai servizi professionali. Ciò rappresenta un obiettivo meritevole in sé, soprattutto in Campania, dove spesso il disagio deve essere particolarmente grave per arrivare al coinvolgimento dei servizi. Si presenta quindi la possibilità di avviare un intervento che promuova l’attivazione della famiglia per supplire al sovraccarico operativo di cui soffrono spesso i servizi. Inoltre, le RDF sono uno strumento operativo piuttosto leggero e – per questa ragione – relativamente poco costoso; dimostrarne l’efficacia consentirebbe dunque alle politiche sociali di disporre di nuovi modelli di azione, anche in un contesto in cui il vincolo di bilancio morde sempre di più la spesa pubblica.

IL MODELLO DI INTERVENTO In sintesi, una RDF si può definire come un incontro tra membri della famiglia allargata e altre persone significative e vicine al nucleo familiare, con la finalità di definire insieme un “progetto di protezione e cura” a favore di bambini/ragazzi che stanno vivendo una situazione di difficoltà. Nel corso di tale incontro ci si confronta sulle preoccupazioni, sui bisogni presenti e sulle risorse a disposizione al fine di individuare azioni concrete da attuare per far fronte alle difficoltà del ragazzo e per aiutare a risolvere i problemi presenti. La RDF, generalmente proposta da un’istituzione (nel nostro caso i servizi sociali), è organizzata da un educatore professionale (del Centro Famiglia o del servizio di Assistenza Domiciliare): il suo compito del facilitatore è quello di organizzare la RDF, guidando l’intero processo (dall’attivazione alla riunione vera e propria) e accompagnando la famiglia all’elaborazione del “progetto di protezione e cura” a favore della famiglia e/o del bambino/ragazzo. All’incontro, oltre alla famiglia allargata e all’educatore, partecipano i servizi referenti e gli altri professionisti che detengono informazioni rilevanti e utili rispetto alla vita del ragazzo. La RDF si svolge secondo un processo strutturato che nella sua definizione vuole garantire concretamente – al di là di ogni facile   retorica –  il diritto della famiglia a partecipare attivamente ai processi decisionali che la riguardano per trovare soluzioni adeguate ai problemi. Tale processo si compone di cinque fasi: attivazione, preparazione, riunione di famiglia, implementazione e monitoraggio; si tratta di fasi distinte ma strettamente connesse l’una con l’altra, che richiedono l’azione coordinata dei vari attori coinvolti per la buona riuscita dell’intero percorso.