Piano Solo, ultimo appuntamento giovedì 1 con Albert Mamriev.

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Dopo i primi due appuntamenti della XIV edizione del PianoSolo Festival,  organizzato dai pianisti Paolo Francese e Sara Cianciullo, che si avvalgono dell’esperienza della storica ditta “Alberto Napolitano”, e il supporto promozionale della Scabec, con il secondo affidato al magistero tedesco di Andreas Frolich, con la sua visione pianistica che ci ha avvolti passando da Mozart ad Astor Piazzolla, attraverso la sua invenzione cinetica, morbida e ritmica, lenta e impulsiva, meditativa, ricercatrice di profezie chopiniane, sulle strade infinite del suo pianismo, giovedì I dicembre alle ore 19, i riflettori si accenderanno, per il gran finale, sul magistero russo di Albert Mamriev.

Il pianista principierà il suo récital con due delle ultime sonate di Ludwig Van Beethoven, frutto della trasformazione del linguaggio di Beethoven, gradualmente apparsa dopo le opere della piena maturità quali la V, la VI e la VII sinfonia, i Quartetti Rasumovsky, i Concerti per pianoforte e per violino. Un cambiamento di stile verso mete ignote a Beethoven stesso e ai suoi predecessori che non ha ancora ricevuto una motivazione, forse a causa della personalità e del carattere di Beethoven: una personalità che prescinde da ogni etichetta, ogni stilizzazione, ogni accettazione di consuetudine o di regole del successo, ogni filtro accademico. Beethoven consegna alla storia e a tutti noi una dichiarazione di amore per l’Umanità, di una profonda solidarietà per il dolore universale, una richiesta di Pace che sentiamo come espressione di un’esigenza insopprimibile. Il primo accenno in assoluto alla Sonata op.109 lo abbiamo proprio per mano di Beethoven in uno dei quaderni di conversazione dell’aprile 1820 (quaderno XI 76a). L’11 aprile Beethoven riceve una lettera dall’editore Schlesinger che gli chiede delle nuove sonate ed in effetti in una lettera del 30 aprile Beethoven parla di “nuove sonate” e più precisamente di un’opera composta di tre sonate. Proprio nella Sonata n°30 op.109, composta nel 1820, che inaugurerà il programma, si definiscono nel modo più evidente taluni connotati del cosiddetto terzo stile di Beethoven: assoluta libertà fantastica che trascende i limiti della tradizionale forma di sonata, tendenza ad una rinnovata linearità del discorso per cui l’armonia da un lato viene costituita spesso come risultante di moti contrappuntistici, mentre dall’altro si dissolve in un disegno arabescato, per stemperarsi o polverizzarsi altre volte in atmosferiche fluttuazioni. Alle più audaci arditezze morfologiche e sintattiche si contrappone in queste tarde opere beethoveniane il ricorso frequente alle formule più schematicamente convenzionali, che appaiono qui in una singolare funzione privativa, poiché si intuisce che esse sono adoperate per espellere dalle immagini sonore ogni residuo gesto drammatico, indifferenziando in un certo senso la materia musicale e conferendole un senso di superamento, di liberazione da ogni passione contingente. Ed è in questa sublimazione lirica delle risultanti emotive della drammatica esperienza umana di Beethoven che si devono ravvisare i risultati espressivi di questi suoi capolavori, senza ricorrere a nessuna di quelle interpretazioni e metafore con le quali gli esegeti hanno cercato di definirne verbalmente le qualità poetiche, parlando della Sonata op. 109 come di una “visione aerea, soave, degna di accompagnare il corteo di una fata” (Wartel). Seguirà la Sonata n°31 op.110 in La bemolle maggiore, che reca la rara didascalia con amabilità, è in forma classica, con esposizione di due temi principali e due secondari, sviluppo, riesposizione e coda, nel Moderato Cantabile d’apertura. Il secondo tempo è in forma di Scherzo con Trio, e il Trio è una delle più bizzarre e divertenti invenzioni pianistiche di Beethoven, con rapidi e pericolosi incroci delle due mani. La tonalità del secondo tempo è fa minore con conclusione in fa maggiore. Nulla di inusuale in ciò, senonché Beethoven considera il fa maggiore come tonalità di dominante di si bemolle minore e senza soluzione di continuità, partendo da si bemolle minore, crea un collegamento tra il secondo tempo e l’Arioso dolente. Nel collegamento viene ricreato pianisticamente un effetto tipico del clavicordo, la Bebung, cioè la ribattitura affievolita di un suono. La volontà di sintesi di barocco e classico si estende così anche agli strumenti oltre che agli stili compositivi, e la Sonata op. 110 è diventata, ancor più della Hammerklavier, un manifesto di storicismo. Placido, poi, si leva il tema della fuga, senza rompere l’isoritmia caratteristica di questo finale, nella elegia o nel contrappunto. E quando la polifonia ha preso gusto nel delineare le sue architetture, la Fuga si dissolve, e dà luogo ad una ripresa dell’Arioso. La riesposizione della Fuga è per moto contrario; e il ritorno al moto retto conferisce al tema la propulsione di un inno, che scala l’apoteosi del la bemolle maggiore. La seconda parte della serata verrà interamente dedicata all’esecuzione delle parafrasi di Franz Liszt da Richard Wagner. Parafrasi o (ri)creazioni?, sicuramente un omaggio, una rilettura, in alcuni casi una vera e propria ricomposizione di pagine che sia nella loro versione originale che in quella pianistica (con una scrittura scintillante ma sempre estremamente raffinata) che sono entrate di diritto tra i capolavori della storia della musica, a partire dalla Feierlicher Marsch del Parsifal, nella quale certe intuizioni timbriche eminentemente pianistiche (rintocchi di campane nei bassi, tremoli orchestrali, passaggi di accordi fortissimo) portano il risultato fonico a esiti che vanno al di là del timbro pianistico puro, verso dimensioni decisamente impressionistiche. Si proseguirà con Ballade aus dem Fliegenden Holländer, S.441 in cui i momenti di emozione sono tanto più accattivanti in quanto la loro rarità si forgia negli effetti dei contrasti tanto quanto nel virtuosismo e nella profondità del suono che risuona nell’avorio del pianoforte, e ancora, dal Tannhäuser, O du mein holder Abendstern, dal terzo atto dell’opera, un recitativo e romanza, dominato dalla cantilena dei violoncelli come punto culminante con ottave negli acuti. Alla fine del 1858 Liszt rimase sconvolto dalla lettura del primo atto di Tristan und Isolde, di cui Wagner gli aveva inviato le bozze. Nel 1867, due anni dopo la prima rappresentazione dell’opera a Monaco, adattò La Morte d’amore d’Isolde, episodio finale dell’atto III. In segno di deferenza non scrisse una parafrasi né una fantasia, ma una trascrizione che, mediante tremoli, arpeggi, ampi accordi e sovrapposizione di piani sonori, mantiene la sostanza della scena drammatica. Tuttavia, poiché la densità della scrittura wagneriana non gliene consentiva l’intera trascrizione al pianoforte, Liszt eliminò gran parte della linea vocale. Idea pertinente, in quanto l’orchestra suona la totalità delle linee melodiche, solo a tratti raddoppiate dalla declamazione di Isolde, estatica e appassionata. Liszt e Wagner s’incontrarono a Parigi un anno e mezzo prima dell’allestimento del Rienzi, l’ultimo dei tribuni. Wagner ottenne il suo primo vero successo con questo dramma concepito sul modello del grand opéra francese, cui nel 1844 Liszt assistette. “L’emozione quasi ammirata che egli mi espresse senz’ambagi mi riscaldò il cuore e mi colpì profondamente. Da quel giorno in poi si moltiplicarono i segni del suo interesse nei miei confronti”, scrisse Wagner. La Fantasia su temi di Rienzi, datata 1859, utilizza tre elementi tematici, ripetuti in differenti contesti pianistici. Liszt ne modifica talvolta l’armonia e li concatena tramite accordi inattesi. Il primo elemento, udito fin dalle battute iniziali, riprende l’esortazione di Rienzi “Santo spirito cavaliere” (atto III), che incita il popolo alla lotta. Il secondo proviene dalla nobile preghiera che Rienzi canta dopo essere stato scomunicato (atto V). Questi temi appaiono già nell’ouverture dell’opera. Il terzo motivo, accompagnato da accordi ribattuti, viene esposto nella seconda metà della Fantasia: si tratta dell’appello alla lotta lanciato dal tribuno, incarnazione della grandezza e della caduta dell’eroe romantico (atto I), affinché Roma ritrovi la sua supremazia. incarnazione della grandezza e della caduta dell’eroe romantico.