Piano Solo, secondo appuntamento sabato 13 alla Chiesa di San Benedetto.

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Secondo appuntamento sabato 13 novembre alle ore 20,30 in San Benedetto, per la XIII edizione del Piano Solo Festival nell’ambito di Salerno Classica, impreziosito dalla prima assoluta di “All’ombra del terebinto” di Gianvincenzo Cresta

Continua Salerno Classica, ideata dalle Associazioni Gestione Musica e PianoSolo, un progetto articolato che ha visto le associazioni concorrere e ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo nella sezione Nuove Istanze 2021, con il progetto “Celebrazione, Tradizione, Innovazione”, 15 concerti che coinvolgono oltre il comune di Salerno, che ha sostenuto la kermesse, anche le città di Benevento, Amalfi e Brienza.

Il secondo appuntamento della XIII edizione del festival “PianoSolo… in ensemble”, ospite di Salerno Classica, si svolgerà sabato 13 novembre, nella Chiesa di San Benedetto (Ingresso tra i 7 e gli 8 euro, a seconda delle riduzioni) e presenterà una prima assoluta la pagina “All’ombra del terebinto” composta da Gianvincenzo Cresta. La serata “Prime assolute”, verrà inaugurata dal Quintetto di Luigi Boccherini  “Musica notturna per le strade di Madrid” G324 in Do maggiore che, dopo le stagioni di Vivaldi e qualche sporadico brano barocco per cembalo, uno dei più importanti pezzi a programma della musica di quel periodo, nell’esecuzione dei componenti dell’Ensemble Lirico Italiano. Per avere brani musicali che descrivono la natura e i più pittoreschi atteggiamenti umani bisogna aspettare l’Impressionismo francese alla fine dell’ Ottocento. Questo brano è un grande atto d’amore di Boccherini per la città che lo ha ospitato, uno degli omaggi più belli che una città e la sua gente abbia ricevuto da un musicista. Il brano è una descrizione musicale della vita notturna della capitale, col chiasso delle sue strade, i balli, le feste, le campane delle chiese che suonano, la ronda, il rosario e i soldati della guarnigione locale che suonano il coprifuoco a mezzanotte, con la loro ritirata. In alcuni passaggi si stenta a credere che sia stato composto nel 1780 tanto appare moderno e attuale. Non a caso “La Ritirata” è stata oggetto di una trascrizione orchestrale di Luciano Berio molto brillante e fedele alle precise indicazioni dello stesso Boccherini che in partitura scrive: “i violoncelli si metteranno l’istrumento attraverso sulle ginocchia, e pizzicaranno con le unghie di tutta la mano posta al rovescio, come chi suona una chitarra”. Il clou della serata sarà l’esecuzione in prima assoluta, di “All’ombra del terebinto”, di Gianvincenzo Cresta, per violino, viola, violoncello e pianoforte, affidata Ilario Ruopolo al violino, Mattia Cuccillato alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello e Paolo Francese al pianoforte. “All’ombra del terebinto” è un titolo suggestivo ed ermetico che rimanda certamente a significati ulteriori e più profondi. E’ ispirato da una pianta millenaria dalle incredibili proprietà curative, originaria dell’isola di Chio e presente in tutto il Mediterraneo ed in Palestina. Oltre questo ha una grande simbologia biblica: nel libro dei Giudici è l’albero all’ombra del quale l’angelo del Signore si manifesta a Gedeone, in Siracide 24,16 è il simbolo della Sapienza di Dio. Il terebinto è il simbolo della bellezza oltre che della sapienza, da cui il compositore parte alla ricerca del senso dell’esistenza e nelle Scritture trova la risposta più profonda e, allo stesso tempo, più misteriosa. Per Cresta la scrittura è risonanza e re-azione ai pensieri, alle emozioni, ai fatti che travolgono la sua vita. C’è proprio l’immagine dell’albero sulla pagina crestiana che parte dalle proprietà estetiche del terebinto, così ricco di rami e quindi dalla struttura complessa e dall’ombra che esso genera, che è in rapporto con la direzione della luce. Le diverse fasi formali di questo brano partono da alcuni elementi comuni. Poi, ogni fase prende una sua strada esattamente come accade per ogni singolo ramo. Invece l’ombra è intesa come proiezione mutevole della realtà. Una musica che, in una apparente ripetizione, si rinnova. Gran Finale con l’esecuzione del terzo concerto per pianoforte e orchestra op. 37 (trascrizione V. Lachner) in Do Minore, di Ludwig Van Beethoven, con solista Paolo Francese in dialogo con il Quintetto dell’Ensemble Lirico Italiano. Il Concerto n°3, fu eseguito in pubblico con grande successo per la prima volta il 5 aprile 1803, con lo stesso autore al pianoforte. Negli anni precedenti i primi due Concerti, in cui Beethoven era impegnato nel doppio ruolo di pianista e compositore, avevano conquistato il pubblico viennese, sedotto dalle sue idee brillanti e virtuosistiche, che mettevano in grande risalto la parte del solista. Per il terzo Concerto le aspettative erano grandi, e il processo creativo fu lungo e complesso. Il rapporto tra solista e orchestra è ancora improntato al modello del concerto classico, ma le potenzialità del concerto classico bachiano e mozartiano, basate sull’eleganza, l’equilibrio, il virtuosismo, qui vengono spinte ai limiti estremi. Ma viene rivoluzionata, per la prima volta, la concezione stessa del Concerto, che diviene compiutamente sinfonica. Il solista del Concerto n. 3, come scrive Piero Rattalino, “non è più illuminista, non è più massone, come Mozart: è napoleonico”. Il legame con il periodo “eroico” è dunque fortissimo, visto che la Sinfonia “Eroica” venne terminata anch’essa nel 1803. Il primo movimento, Allegro con brio, si apre con una tradizionale lunga esposizione orchestrale che precede l’ingresso del solista impegnato sin dall’inizio a gareggiare con l’orchestra grazie a tre perentorie scale. Questo primo movimento, la cui scrittura si richiama alla tradizione del concerto militare, ha un forte senso drammatico che raggiunge il suo culmine nella parte conclusiva. Il Largo, presenta un carattere contemplativo ottenuto con un ampio flusso melodico esposto dal pianoforte e ripreso dagli archi con sordina. Il Rondò conclusivo, può apparire come un ritorno ad una scrittura più tradizionale, ma il tema iniziale, che si estende per otto misure, è uno dei più lunghi scritti da Beethoven in un concerto per pianoforte e orchestra; alcune armonie dissonanti, collocate all’inizio del ritornello e apparse al pubblico contemporaneo particolarmente insolite, costituiscono un’ulteriore conferma della modernità di questa partitura.