Piano Banda ultralarga: tutti i nodi da sciogliere per il Governo.

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Fotos produzidas pelo SenadoEntro fine febbraio 2015, il Consiglio dei Ministri darà il via libera al Piano nazionale Banda ultra larga con cui l’Italia vuole estendere a tutti la connessione Internet a 30 Megabit e portare i 100 a una quota variabile (ora incerta) tra il 50 e 85% della popolazione. Ma gli ostacoli lungo la meta sono numerosi. Proviamo a elencarli, mettendo assieme alcune anticipazioni sull’ultima versione del piano (ancora non pubblica) con le ultime notizie dai movimenti societari di Telecom Italia e Metroweb.

Risorse

Sorprendentemente, il primo nodo da sciogliere per realizzare il programma Banda ultra larga non sono le risorse: quelle pubbliche sono abbastanza certe, intorno ai 6 miliardi di euro (europee, nazionali e regionali, 2014-2020); quelle private arriveranno al massimo ad altri 6 miliardi, e con questa incertezza si spiega la forchetta sulla copertura ipotizzata a 100 Megabit. Invece è un ostacolo importante l’ok dell’Europa sulla possibilità di usare queste risorse in modo compatibile con la normativa sugli aiuti di Stato.

Ok che per altro prenderà molto tempo (almeno sei mesi, dopo che il Governo manderà il piano a Bruxelles), come spiega Cristoforo Morandini, analista di Ernst&Young:

«Il dubbio riguarda gli interventi di incentivo per l’upgrade della velocità da 30 Mbps a 100 Mbps nelle aree in cui gli operatori privati hanno già investito. In queste aree gli operatori privati non sono necessariamente propensi a rilanciare un ciclo di investimenti a fronte di una domanda che rimane relativamente restia a pagare un premium price per l’innalzamento delle prestazioni».

Non è un dubbio banale, visto che queste aree sono le più popolose tra quelle inquadrate nel piano. Qui gli operatori prevedono di portare solo 30 Megabit, con le proprie forze, e i fondi pubblici li aiuteranno a mettere invece i 100 Megabit. Ma non è detto che l’Europa le considererà a “fallimento di mercato” solo per il fatto di non avere piani a 100 Megabit, visto che già i 30 sono considerabili “banda ultralarga”, secondo la normativa europea. E senza fallimento di mercato, non si possono usare fondi pubblici a incentivo. L’Italia ha dovuto scrivere questa misura inusuale, però, perché solo da noi gli operatori hanno puntato in massa su reti in fibra ottica fino agli armadi (tecnologia che non garantisce i 100 Megabit).

Tecnologia

Fotos produzidas pelo SenadoLa tecnologia fibra ottica fino agli armadi, però, già dal 2016 dovrebbe dare 100 Megabit sicuri, come ha dichiarato Fastweb qualche giorno fa. Grazie ad evoluzioni tecnologiche:

«Se la fibra più vicina all’utente finale – dice Morandini – rimane la soluzione regina, i risultati in campo del Vectoring e del G.Fast possono consentire dei livelli prestazionali molto interessanti, in particolare per una rete di accesso, come quella italiana, tra le più corte in Europa».

Il nodo da sciogliere quindi è come adattare gli obiettivi all’evoluzione tecnologica, quando l’Italia farà i bandi di gara. A quanto risulta, nel nuovo piano si prevede che per le aree dove lo Stato vuole portare i 100 Megabit in assenza di investimenti commerciali degli operatori (nemmeno a 30 Megabit), la tecnologia primaria potrebbe essere proprio quella del G.Fast e Vectoring su fibra fino agli armadi.

Agevolazioni fiscali

Le agevolazioni fiscali finiscono nel 2015 e avrebbe molto senso che il Governo le protraesse fino al 2020. Saranno lo strumento principe per dare i 100 Megabit alle zone più pregiate dell’Italia (15% della popolazione). Non si conosce, prosegue Morandini:

«l’effettivo impatto degli incentivi indiretti, in particolare la defiscalizzazione degli investimenti. Molto dipenderà dalle regole attuative. Si parte con una misura “sperimentale”, che dovrà probabilmente essere messa punto dopo la prima esperienza».

Investitori

«Resta un nodo aperto anche il veicolo dei nuovi grandi investimenti in fibra – secondo Morandini. Sfortunatamente i candidati a fare investimenti rilevanti nelle reti di nuova generazione fissa non sono molti e devono valutare con molta attenzione la redditività dei propri investimenti. Se in linea teorica l’unione fa la forza, nella realtà ogni attore protagonista si presenta con le sue legacy (patrimoniali, tecnologiche, competitive) difficili da conciliare. Il modello del soggetto terzo neutrale rimane un’opzione, ma governance, conferimenti, obiettivi temporali sono vette impervie da scalare».

Negli ultimi giorni sta prendendo forza l’ipotesi “Newco”, una nuova società a cui parteciperebbero  F2i, Cdp (Cassa depositi e prestiti) attraverso il Fondo strategico italiano e Telecom Italia. In quota paritaria secondo le voci circolate in questi giorni. Telecom ha infatti da ultimo accettato a salire solo progressivamente come socio di maggioranza nella newco, acquisendo nel contempo le quote che F2i detiene in Metroweb. Sarebbe una grossa semplificazione dello scenario, su chi dovrà fare la rete in Italia (anche se ne restano fuori Fastweb e Vodafone, che pure stanno mettendo fibra).

Sono nodi complicati da sciogliere. Come si vede, affondano le loro radici in caratteristiche strutturali del nostro Paese. Molti di loro raccontano di una incapacità di fare sistema, di investimenti non coordinati e scomposti. Regalare una bella Banda Ultralarga a tutti cittadini sarà anche occasione per dimostrare che un’altra Italia è possibile. (pmi.it)

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