Il comparto calzaturiero italiano in ripresa nel 2021. L’anno scorso infatti ha registrato un incremento del fatturato nazionale pari al +18,7% sul 2020, attestandosi a 12,7 miliardi di euro. Un valore però ancora inferiore all’epoca pre-covid (-11% rispetto al 2019). È la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici, diffusa al Micam, la fiera delle calzature in corso a Fiera Milano Rho, su un settore dove le griffe trainano l’export, con le aziende che viaggiano a velocità differente (solo una su tre ha recuperato i livelli ante pandemia) e su cui c’è l’ombra gettata dallo scenario geopolitico in continua evoluzione in Ucraina.
In Campania nel 2021 il numero di imprese attive (tra calzaturifici e produttori di parti) secondo i dati di Infocamere-Movimprese, ha registrato un saldo negativo di -30 unità (industria + artigianato), accompagnato da un incremento di 95 addetti nella forza lavoro. Per quanto riguarda le ore di cassa integrazione guadagni autorizzate da INPS nel 2021 per le imprese campane della filiera pelle, si registra un’ulteriore crescita del +19,7% rispetto al 2020: sono state autorizzate 13,2 milioni di ore, oltre 9 volte quelle del 2019 (+839%).
Sul fronte dell’export, attestatosi a 170,8 milioni di euro, si registra un recupero del +20,3% in valore sull’anno precedente, tra calzature e componentistica (ancora assolutamente parziale, dal momento che i livelli attuali restano al di sotto del -25,4% rispetto a quelli 2019 pre-pandemia). Le prime 5 destinazioni dell’export campano nel 2021 sono risultate: Francia (+34%), USA (+42%), Germania (+20%), Svizzera (-21,3%) e Russia (+173%); assieme coprono il 61% dell’export regionale. Solo Francia e Russia risultano però aver superato i livelli 2019 (+12,6% e +67,4% rispettivamente).
Russia (9,3 milioni di euro) e Ucraina (0,8 milioni, +26% sul 2020) sono risultate il 5° e il 28° mercato per gli operatori campani nel 2021, con una quota complessiva del 6% sul totale export della regione.
Nel dettaglio, l’export italiano ha raggiunto in valore (10,3 miliardi di euro a consuntivo) il secondo miglior risultato di sempre, anche al netto dell’inflazione. Bene, in particolare, le prime due destinazioni, ovvero Svizzera (+16,2% in valore sul 2020, nei primi 11 mesi) e Francia (+24%), tradizionalmente legate al terzismo; ma anche USA (+42%) e Cina (+37,5%) che ha già abbondantemente superato i livelli 2019.
Tra i primi 20 mercati di sbocco, solo 3 hanno registrato nel 2021 un segno negativo: Regno Unito, Giappone e Corea del Sud (che ha così interrotto la forte e costante crescita degli anni precedenti). Infine si guarda con preoccupazione alla crisi russo Ucraina che inevitabilmente frenerà la ripresa appena descritta data l’importanza strategica dei due mercati per la calzatura italiana.
Risale l’attivo del saldo commerciale (+22% da gennaio a novembre), atteso a poco meno di 5,2 miliardi nei 12 mesi.
Permane inoltre in forte sofferenza lo shopping legato al turismo straniero, sempre molto penalizzato.
Dal punto di vista occupazionale, nel 2021 si contano in Italia 3.981 calzaturifici attivi, con un saldo negativo di -171 unità rispetto a dicembre 2020 (-4,1%). La forza lavoro settoriale è scesa a 70.586 addetti, -1.296 sul 2020 (-1,8%). Considerando anche i produttori di componentistica, i saldi precedenti salgono a -312 aziende e -2.067 addetti rispetto al 2020, tra industria e artigianato. Il numero di imprese attive cala in tutte le regioni. Con riferimento agli addetti, Campania e Puglia risultano le uniche in controtendenza (+95 e +148 unità). Nelle Marche e in Toscana le riduzioni più elevate in termini assoluti sia nelle imprese attive (-114 e -65 unità rispettivamente) che nel numero di addetti (-1.269 e -624).
Infine, dopo il picco del 2020 raggiunto a seguito dell’interruzione delle attività lavorative durante il lockdown (83 milioni di ore), nel 2021 le autorizzazioni rilasciate da INPS per la filiera pelle sono scese a 68,2 milioni (-17,8%), restando però su livelli più di 8 volte superiori a quelli del 2019 (+722%), a testimonianza di uno scenario ancora decisamente complesso in cui l’aumento dei prezzi delle materie prime (che ha caratterizzato tutto il 2021) e quello dei costi energetici erodono i margini delle imprese, mettendo a rischio la ripartenza stessa del settore.