Mi chiamano Mimì, Sarah Falanga ricorda Mia Martini a Capaccio.

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L’Accademia Magna Graecia in collaborazione col Museo Archeologico Nazionale di Paestum (sotto la direzione della Dott.ssa Marina Cipriani, già direttrice del Parco Archeologico) presenta in anteprima nazionale, nel giorno 8 marzo 2015, lo spettacolo “…mi chiamano Mimì “, in occasione del ventesimo anniversario della “Rinascita” di Mia Martini, un mito moderno della musica leggera Italiana.
Infatti la straordinaria artista, lasciò la “scena terrena” il 12 maggio del 1995, pronta a partire per un nuovo tour “eterno”, per le vie della storia!
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Impronta di Donna: Almeno Mimì nell’Universo.

Mimì non è una donna. E’ “LA” donna.

Oltre ad una impronta indelebile colma d’arte, Mimì lascia finestre aperte sul mondo e sul MODO femminile!

Rileggere la sua vita induce a riflessioni profondissime nella storia del femminile. Un esempio di combattente che lascia segni profondi nel futuro, nel nostro futuro. E’ un continuo richiamo al coraggio, alla consapevolezza, al valore del pensiero ed alla sua attuazione.

Nel suo sguardo, il tremore della ribellione e la pacatezza delle scelte…Nella sua storia l’esempio… Nella sua solitudine il valore dell’amore…Nella sua morte, la massima poesia…il distacco prematuro per rimanere infinita.

Lo spettacolo è dedicato alle DONNE ed a quegli uomini che ancora non si sono accorti del loro valore. E’ anche dedicato a quegli uomini, che riconoscono nelle loro donne, un segreto e prezioso dono di vita, che si rinnova. E’ un continuo input, è il voler risvegliare non solo il ricordo, ma la possibilità che ogni donna ha, o deve darsi, nel cambiare un percorso doloroso, scegliendo la sua storia!

 

Appunti di regia:
“…mi chiamano Mimì” è una celebrazione al mito di Mia Martini, letta attraverso il ricordo di un uomo che, in scena, incarna tutto il rapporto col “maschile” riferibile alla vita di Mimì.

In LUI, il padre, i suoi amori vissuti e i suoi amori traditi, le delusioni e le gioie.

Ad apertura spettacolo, troviamo LUI sulla spiaggia di Bagnara Calabra (città di origine di Mimì), il giorno della notizia del decesso. Stordito dal dolore della sua mancanza, l’uomo sovrappone all’immagine di una “cantante squattrinata”, quella di Mimì. Tutta la storia dello spettacolo si evolve su questa sovrapposizione, che genera tenerezza, riflessione, folle ironia e disperazione. Mimì viene quindi evocata e cercata, così come ancora accade nel suo pubblico, dopo la sua dipartita, che l’ha trasformata in DEA.

In alcuni tratti (misti tra onirico e poesia) dello spettacolo, Mimì viene trattata come figura del mito classico, essendo raccontata come nereide e sirena incantatrice.

LUI l’ha amata, la ama e l’amerà per sempre, pur non vivendo mai quell’amore in maniera totale, mai riconoscendolo, mai nella pienezza e nella sua importanza.

Non a caso il titolo dello spettacolo riprende il celebre verso della romanza pucciniana, “mi chiamano Mimì” de La Bohème. La Romanza “mi chiamano Mimì”, appunto, è cantata da Mimì, mentre sta per morire e Rodolfo, il suo amato che non ha saputo riconoscere il loro amore, si rende conto che la MORTE è la separazione totale tra i due…Interviene quindi, l’elemento della MORTE, altissimo, assoluto, utilissimo a dare spessore e valore all’AMORE, poco riconosciuto dagli “umani mortali”. La “vita” pur essendo un bene preziosissimo, nel suo splendore confonde ed inebria gli uomini, beffandoli, illudendoli di onnipotenza. Ed ecco i poveri uomini ritenersi infallibili, essendo incontrastabili presuntuosi, alimentati dalla saccenza della vita e dall’ inconsapevolezza della morte. La vita infatti mette a dura prova il genere umano, ne sfida l’intelligenza, tentandola e stordendola di false certezze.

Nell’abitudine del vivere e del viversi, nell’avere, per così dire “a disposizione” il proprio amore, quando lo viviamo nella scontatezza e negli episodi quotidiani, scrivendo insieme, facendo insieme la spesa, litigando, quando è in scena con noi, quando ce l’abbiamo a scrivere un testo con noi, quando ce l’abbiamo tutte le notti vicino, dando vita, semmai, ogni volta ad un “minuetto” …così non sempre l’amore viene riconosciuto e vissuto. Pertanto, la MORTE interviene a che questo amore possa essere vibrante nella totalità. Molte volte, però, l’amore negato dalla morte, sfocia in un altro sentimento importante, in un’altra condizione dell’animo, che è la FOLLIA…il distacco dalla realtà! “Follia” che serve agli artisti per distanziarsi dalla vita materiale, lasciando un’eredità al pubblico di ogni tempo.

Pertanto, in nessuno dei due casi, né per la MORTE, né per la FOLLIA, in questo spettacolo si distingue un’accezione negativa, proprio perché MIMì (intesa come Mia Martini, questa volta!) non è un personaggio negativo…A questo proposito, interessante è il riferimento alla Bohème, che nella stesura del testo, individua nella personalità di Mia Martini anche il più profondo e letterale significato del termine stesso.

Mia Martini vive, infatti, tutta la sua vita, sia artistica che privata, da perfetta bohèmienne. Andar via dalla “guerra” della sua casa, non trovare mai fissa dimora né emotiva né fisica, alla ricerca sempre di quell’angolo di cielo, di felicità, di creatività, di libertà…d’amore. Lei, la bohèmienne che viene giudicata male, zingara, malefica…ma che vola alto. “Mimì dagli occhi scuri e dai capelli neri, strega del sud! Mimì la pazza…Mimì che porta morte…Mimì che porta male!”…Non porta affatto male, perché la sua morte sviscera un amore, non solo in un uomo, ma anche nel suo pubblico, nei suoi colleghi…e dà la possibilità a coloro che negavano la Sua forza, oscurandola con tante malignità, di emergere, di farsi strada, di “occupare il suo posto” (e chi crede veramente di sostituirla, si rende da solo ridicolo!), quel vuoto incolmabile che qualcuno prova ad occupare….Ma chiaramente lei è unica ed insostituibile, come ogni ARTISTA…Artista che ha vissuto grandi sofferenze, riuscendo a tradurle in poesia e in musica!

Il suo volto, il suo modo di cantare, il suo modo di interpretare un testo, infatti, era ed è per sempre la LIBERTA’ TOTALE dell’Arte, data da quella “follia”… suscitata dalla sofferenza, dovuta alla mancanza d’amore!

Si può dire, pertanto, che, paradossalmente, lei è stata il “capro espiatorio”, il “Gesù Cristo” in croce, l’Artista crocifissa, che però è RISORTA dalle sue stesse ceneri, per essere UNIVERSALE, indiscussa in ogni momento e in ogni tempo…Insomma, addirittura la morte, nelle mani di Mimì è un elemento positivo. Solo nella libertà della morte, Mimì è LIBERA e susciterà per sempre emozioni molto positive!

A circa vent’anni dalla sua scomparsa, infatti Mia Martini è più libera e presente che mai.
L’essenza della sua personalità e l’immagine della sua forza interpretativa unica, la hanno resa viva…ancora più viva di quanto lo sia stata, costretta dalle ignoranti cattiverie del becero vociare sul suo conto…
Ora è libera veramente, vibrante nella sua, e nella nostra, musica.
Lo spettacolo, tra prosa e musica, di Sarah Falanga consegna al pubblico una trama semplice e profonda: la storia di un uomo che ha amato Mimì, forse a sua insaputa.
Ora, senza di Lei è un Sole senza luce…Poi la scoperta di un amore, la sua illusione e l’ingombrante ed ossessionante ricordo.

E pensare che Mimì ha sempre creduto di non essere mai stata amata “a modo suo”!

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TESTO E REGIA: Sarah Falanga

IN SCENA: Sarah Falanga, Christian Mirone, Giusy Paolillo, Marco Gallotti

M° Raffaele Perfetto (pianoforte), M° Denis Citera (batteria)

 

 

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