Tenacemente rimaneva attaccato col pensiero e col cuore alla sua sposa, alla sua terra, al prediletto figlio, al caro padre, a tutte le cose che erano state la sua precedente vita.
La sua morte è motivo di varia leggenda, ma quella ipotizzata poeticamente da Dante è certamente la più idonea per un uomo dal carattere volitivamente proteso verso ogni sorta di esperienza.
L’eroe che drammaticamente sfida l’ira di Posidone, accecandogli il figlio Polifemo, che è autore di incredibili fatti e spettatore coinvolto nelle stesse conseguenze, quasi sempre funeste, non può essere fatto morire per le mani di un altro uomo. Inaccettabile anche un altro rivo di leggenda che lo vuole ucciso dal proprio figlio Telegono, nato dalla sua passione per Circe, che non lo aveva riconosciuto.
Ogni secolo ha avuto il suo Ulisse, cantato da poeti di ogni nazionalità e sempre resta vago il mistero della sua psicologia, che ne fa, secondo alcuni, un tipo malinconico e sperduto nel gran mare dell’esistenza; secondo altri, un temerario incosciente; secondo altri ancora, un uomo volitivo, seguace dei propri istinti, che, per vie diverse, Io portano a interpretare ogni possibile significato della vita.
Con le dovute varianti, troviamo il nostro Ulisse carico di temperamento e di saggezza, in molte opere costruite sulla sua vicenda storica e terrena e sulla sua personalità, come Troilo e Cressida di W. Shakespeare; Ultimo viaggio di Ulisse di A. Graf; Ultimo viaggio di G. Pascoli; Laus vitae di G. D’Annunzio; Ulysses di Tennyson; Les Pfeniciens et l’Odissée di V. Berard e finalmente l’Ulysses di James Joyce, che ne fa un eroe ricco di una complessà interiorità.
Nel secondo Novecento i dantisti (Nardi, Renaudet, Fubini, Chimenz, Montano, Padoan, Pagliaro, Girardi…) sono ritornati con più passione sul commento dell’Ulisse dantesco e ci hanno dato una grande varietà di definizioni, che sarebbe impossibile riportare per intero.
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