Il numero dei Comuni in aree ad elevato rischio idrogeologico, straordinariamente cresciuto, è passato a 6.631, equivalente al 10% della superficie territoriale italiana (29,5mila kmq).
Sulla base della superficie territoriale ad elevato rischio naturale, si stima che la popolazione potenzialmente esposta ad un elevato rischio idrogeologico sia pari a 5,8 milioni di persone. Le percentuali (per regione) di comuni, superfici territoriali e popolazione esposte al rischio crescono rispetto al dato nazionale soprattutto al Sud. È da considerare che una stima così pessimistica è anche il risultato di metodiche di rilevamento ed analisi dei dati difformi negli anni che, quindi, rispetto ad uno stesso fenomeno, riportano risultati così divergenti; ma a ciò va aggiunto un oggettivo aggravamento dello stato del territorio italiano che ha caratterizzato questi ultimi quattordici anni.
Il rischio idrogeologico contraddistingue soprattutto i piccoli comuni, nei quali l’abbandono del territorio va ad amplificare i rischi derivanti dalla carenza di interventi di prevenzione.
Tra la fine degli anni Novanta ed i primi anni Duemila, la popolazione italiana ha ripreso a crescere con un ritmo di oltre 403mila residenti in più all’anno dal 2001 al 2010, questo grazie all’incremento dei flussi migratori dall’estero che hanno rappresentato quasi il 90% della crescita complessiva.
Destinatarie di questo boom demografico sono state le città italiane, con un aumento dell’urbanizzazione metropolitana, accentuato anche dal progressivo abbandono dei centri rurali, per via del mancato ricambio generazionale e dell’invecchiamento della popolazione di quelle aree. Lo spopolamento di questi territori, sopratutto quelli interni dell’Italia meridionale ed insulare (Molise, Campania, Sicilia e Sardegna), ha determinato una riduzione dell’attività di manutenzione ordinaria, costituita dalla tenuta dei terrazzamenti, dalla pulizia dei canali e del reticolo idrografico minore, dal consolidamento e dalla piantumazione degli versanti, con una accelerazione dei fenomeni di degrado.
L’aumento della pressione antropica, in assenza di efficaci interventi di tutela, ha, quindi, contribuito ad un ulteriore aggravamento degli equilibri geo-ambientali di aree in molti casi già compromesse.
Al Nord-Ovest un incremento di popolazione pari all’8% è stato accompagnato da un aumento del 15% della popolazione esposta al rischio sismico; al Nord-Est l’incremento demografico risulta associato ad un incremento seppur più contenuto della popolazione a rischio idrogeologico: si tratta, sicuramente, di indicatori di una cattiva gestione del processo insediativo.
Il rischio meteo-idrogeologico ed idraulico è condizionato ed amplificato dall’azione dell’uomo. L’abbandono del territorio extraurbano dall’attività produttiva ed agricola, dalla manutenzione ordinaria degli spazi aperti; la cementificazione e l’impermeabilizzazione crescente dei suoli insieme con le forme di urbanizzazione del contesto nazionale moderno suburbano (lo sprawl urbano); l’eccessivo uso di suolo; l’abusivismo edilizio; il disboscamento; l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente; la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua; l’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi; l’estrazione illegale di inerti, la cementificazione degli alvei e il disboscamento dei versanti collinari e montuosi, gli incendi boschivi: sono tutti fattori che contribuiscono al peggioramento dell’assetto idraulico del territorio, rendendo i suoli più poveri e quindi più vulnerabili ai fenomeni atmosferici violenti ed amplificando il rischio che interessa, in modi e forme diverse, praticamente tutto il territorio nazionale.
Molteplici sono le ricadute negative di questa situazione: la perdita di superficie agricola (e la conseguente riduzione della produzione) impedisce al Paese di soddisfare completamente il fabbisogno alimentare nazionale ed aumenta la dipendenza dall’estero. Una situazione resa ancora più preoccupante dal fatto che le zone rurali con maggior tasso di cementificazione sono le più fertili, come la pianura padana.
All’edificazione selvaggia si aggiunge inoltre la distruzione provocata dagli incendi boschivi che contribuiscono ad indebolire la capacità statica dei terreni, privandoli della fauna di superficie, e rendendoli quindi più sensibili all’azione dilavante delle piogge. Secondo i dati del Corpo forestale dello Stato dal 1970 al 2012 sono andati in fumo circa 4.451.831 ettari di territorio, il 46% di superficie boscata ed il 64% di superficie non boscata.
In un contesto in cui i cambiamenti climatici aumentano la frequenza di fenomeni meteorologici estremi e pericolosi, quindi, la gestione irrazionale del territorio genera conseguenze disastrose.
Per questo forse la causa principale del peggioramento dello stato di dissesto del territorio italiano è sicuramente costituita dalla mancanza di una seria manutenzione ordinaria del territorio che è sempre più affidata ad interventi “urgenti”, spesso emergenziali, che non ad una organica politica di prevenzione, rimandata per carenza di fondi.
La salvaguardia della destinazione agricola dei suoli e la conservazione della vocazione naturalistica limitano il rischio di dissesti idrogeologici e forniscono un importante contributo alla tutela del paesaggio.
ANNA ZOLLO
Criticità idrogeologica nelle Regioni italiane.pdf