Con una platea di oltre 25 milioni di lavoratori dipendenti e indipendenti, l’Italia rappresenta l’ottava economia mondiale per importanza e flusso di denaro. Non c’è da sorprendersi quindi se il mercato del lavoro italiano sia molto variegato e in costante cambiamento. Sicuramente il paese si trova indietro sulla tabella di marcia della digitalizzazione delle imprese, ma le circa 150.000 PMI (piccole-medie imprese) rappresentano il fulcro della nostra economia.
E molte di queste imprese sono legate al turismo: anche la nostra regione, la Campania, basa parte dei suoi introiti proprio dalle attività turistiche. Per quanto riguarda l’intero paese, circa il 6% del PIL (secondo dati ISTAT) viene generato dal turismo ogni anno. Ecco perché con l’arrivo della bella stagione, anche in città come Salerno, il numero degli occupati torna a salire come spiegato a questo link https://www.gazzettadisalerno.it/. Seppure ci sono piccole variazioni, più ci si avvicina all’estate, più il lavoro stagionale aumenta.
Come sta evolvendo il mercato del lavoro
Nei primi anni duemila è iniziata una profonda rivoluzione nel mercato del lavoro italiano, dovuta principalmente all’avvento di Internet e la sua forte espansione in ogni settore. Il cosiddetto mito del “posto fisso” è andato sempre più a scemare. Infatti, ormai i dipendenti pubblici rappresentano solo una fetta dei lavoratori italiani: ci sono circa 3 milioni e 200 mila dipendenti pubblici in tutto il paese, ovvero il 14% rispetto al numero totale di occupati in Italia.
E bisogna anche sfatare il mito dell’Italia come paese pieno di uffici pubblici più o meno utili, perché la nostra media è al di sotto di quella europea. Paesi come Inghilterra e Francia, hanno molti più dipendenti pubblici rispetto all’Italia: rispettivamente il 16% e il 22% rispetto al numero totale di lavoratori. In questi due primi decenni degli anni duemila si è assistito a un boom dei lavoratori autonomi, ovvero delle partite IVA.
L’Italia è il paese europeo con più lavoratori autonomi: ce ne sono circa 5 milioni, rappresentando circa il 23% del numero totale di occupati. Si tratta di una cifra destinata a crescere, visto che sempre più professioni in ambito digitale richiedono una certa flessibilità lavorativa e una capacità di lavorare con più clienti diversi. Rimane però sempre presente il gap salariale tra giovani e adulti, specialmente guardando alle medie europee.
Ogni anno, la maggior parte delle persone in partenza sono giovani fra i 18 e i 24 anni: rappresentano circa il 40% delle partenze. Una delle colpe principali è dovuta agli stipendi medi italiani, che sono quasi sempre sotto la media europea: chi ha meno di 30 anni guadagna in media 1741 euro lordi in Italia, una cifra inferiore del 17,4% rispetto alla media europea. Al contrario, invece, della popolazione più adulta: i lavoratori italiani sopra i 50 anni guadagnano in media più del 13,3% rispetto alla media europea.
La digitalizzazione del lavoro che cambiamenti porterà al paese?
La digitalizzazione dell’economia italiana potrebbe essere la chiave di volta per dare una scossa al settore lavorativo del paese. In professioni legati al mondo digitale, quasi sempre viene richiesta una laurea e in media un giovane laureato guadagna circa il 40% in più rispetto a un giovane non laureato (una percentuale importante, ma comunque inferiore rispetto ai restanti paesi dell’OCSE, dove il guadagno è superiore del 57% rispetto ai non laureati).
Infatti, nel mondo digitale si trovano le più disparate professioni perché sempre più business diversi cominciano a digitalizzare le proprie attività (o a fornire comunque dei canali online per entrare in contatto con potenziali clienti). Ci sono siti internet da creare, canali social da gestire, dati riguardanti il traffico web da analizzare, campagne marketing da lanciare e anche piattaforme di gioco da sviluppare, come nel caso dei casinò online presenti su https://www.casinos.it.
Il grosso problema è dovuto alle opportunità di occupazione in Italia: il tasso di occupazione di un giovane laureato è del 64%, di poco inferiore rispetto a un giovane diplomato che ha un tasso del 68%. Una situazione particolare, dovuta anche al basso finanziamento per le università italiane: i nostri atenei ricevono un terzo dei fondi rispetto alla media europea. Chiunque abbia in mente l’idea di partire per l’estero, deve sicuramente prima passare qualche mese nel paese di destinazione: solo così può capire se riuscirà a integrarsi con uno stile di vita diverso (e ovviamente, conoscere bene la lingua del paese è d’obbligo).
Infatti, come tanti altri business, anche i casinò si sono spostati su Internet: esistono piattaforme web per giocare, così come applicazioni per smartphone. E anche tutto il catalogo di giochi da sviluppare e aggiornare costantemente richiede un alto numero di sviluppatori. Scontato dire che le professioni legate all’informatica sono fra le più richieste, ovviamente, così come una sfilza di professioni creative legate al web: copywriter e content writer per scrivere contenuti, social media manager per i social, data analyst per analizzare e raccogliere dati dal web, addetti al marketing per pubblicità su internet e non solo.
Ma anche graphic designer per le grafiche, content manager per gestire i contenuti, project manager per gestire progetti assegnati a più team, traduttori per localizzare un prodotto in altre lingue e tante altre professioni. Insomma, il digitale può aprire a nuove carriere lavorative, valorizzando i giovani e anche aumentando così il numero di laureati nel paese.
Lavorare all’estero oppure rimanere in Italia
Prendere e partire per un altro paese non è mai una decisione facile: significa lasciarsi alle spalle tutta una rete di familiari, amicizie e conoscenze. Eppure sempre più giovani decidono di intraprendere la strada dell’emigrazione per motivi di lavoro. Secondo i dati ISTAT, nel 2018 sono partiti circa 117.000 italiani per lavorare all’estero (di cui 30 mila laureati), anche se questo numero potrebbe essere fortemente sottostimato. L’unica certezza è che il fenomeno dell’emigrazione per motivi di lavoro si è triplicato nei numeri: nel 2008 c’erano solamente 39.000 italiani in partenza per lavorare all’estero.