a cura dell’avv. Andrea Tanga
La rubrica di oggi è dedicata al ricorso al prefetto avverso i verbali di accertamento per violazione al codice della strada, con un approfondimento sull’obbligo di motivazione delle ordinanze ingiunzioni prefettizie.
Nel caso in cui riceviamo la notifica di un verbale di accertamento per violazione al codice della strada, possiamo, in alternativa al pagamento della sanzione o all’impugnativa innanzi al competente organo giudiziario, proprorre ricorso al prefetto del luogo della commessa violazione ai sensi dagli artt. 203 e 204 del codice della strada.
Il ricorso al prefetto deve essere presentato nel termine perentorio di 60 giorni, decorrente dalla data di notifica della violazione al soggetto destinatario dell’obbligo al pagamento della sanzione (sia in qualità di autore della violazione che in qualità di obbligato in solido) che abbia interesse all’annullamento del verbale. Il procedimento dinanzi al prefetto può durare fino ad un massimo di 360 giorni, decorrenti a partire dalla presentazione del ricorso.
In caso di rigetto nel merito del ricorso al termine del procedimento amministrativo, l’autorità emette ordinanza-ingiunzione motivata di condanna a una sanzione, per l’ammontare di una somma non inferiore al doppio di quella irrogata in fase di accertamento (minimo edittale previsto) più le spese, da pagare entro 30 giorni dalla notifica. Tale provvedimento, cumula in sé tanto le caratteristiche del titolo esecutivo stragiudiziale, quanto quelle dell’intimazione al pagamento.
Avverso tale ordinanza ingiunzione può essere proposta opposizione innanzi all’Ufficio del Giudice di Pace competente entro 30 giorni ed è possibile sempre sottoporre al giudice di pace i motivi di illegittimità della contravvenzione che già erano stati esposti nel ricorso al prefetto, oltre ai vizi propri del provvedimento emesso dalla prefettura.
In particolare è opportuno che il ricorrente verifichi che il provvedimento del sia ben motivato, in modo tale da far comprendere al presunto trasgressore le ragioni del rigetto del ricorso.
Accade di frequente, infatti, che le ordinanze-ingiunzioni del Prefetto siano completamente prive dei motivi prospettati nel ricorso dal ricorrente o che i provvedimenti prefettizi vengano adottati attraverso l’utilizzo di moduli prestampati ed uniformi e senza alcun riferimento al caso esaminato. Orbene, questo modus operandi dell’amministrazione è da ritenersi illegittimo, giacchè non rispetta le prescrizioni della legge sul procedimento amministrativo e, segnatamente, l’obbligo di motivazione, posto che, qualsiasi provvedimento amministrativo – ai sensi dell’art. 3, l. n. 241/19902 e, nel caso, di ordinanza-ingiunzione (anche) ex art. 17, l. n. 689/1981 – deve essere sempre motivato, pena la sua nullità.
Sulla scorta di tale incontrastato principio, la giurisprudenza ha più volte affermato, in tema di ingiunzioni prefettizie, che “l’autorità amministrativa ha l’obbligo di motivare adeguatamente, e non solo per relationem, sui punti controversi” (cfr Cass. 24.01.2005 n. 519; Gdp Roma, 27.8.2008; Gdp Civitavecchia, 12.6.2006).
Sul punto è opportuno ricordare il recentissimo orientamento del Giudice di Pace di Salerno (in allegato), – sentenza n. 4114 del 24 luglio 2019, Gdp Bonelli – che ha evidenziato “che la motivazione che fa solo riferimento agli atti (prodotti dall’agente accertatore), in presenza di elementi o contestazioni difensive da parte del trasgressore, non è sufficiente a soddisfare il requisito della motivazione relativo all’ordinanza ingiunzione, così come richiesto dall’art.18 della L 689/81“.
Si può affermare, dunque, che la ratio della normativa che consente il ricorso al prefetto è proprio quella di risolvere le controversie in sede amministrativa deflazionando il ricorso alla giurisdizione, cosa che risulterebbe impossibile nel caso si negasse ogni rilievo alla mancata motivazione sulle doglianze fatte valere dal presunto trasgressore.
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