“Dipingo sempre quello che sono, non quel che vedo”, così aveva risposto nella sua ultima intervista rilasciata a Red Ronnie nel 1998 il pittore americano William Congdon di cui quest’anno si celebra il ventennale della scomparsa. Negli anni ’50, dipingeva soprattutto le vedute di Venezia ed esponeva nella celebre Betty Parsons Gallery di New York e quando Peggy Guggenheim diceva che le sue vedute di Venezia erano le più belle dopo quelle di Turner, scopre la sua vocazione artistica in modo drammatico: davanti alle scene di orrore del Campo di Concentramento di Bergen-Belsen dove arriva nel 1945 con l’Armata Anglo-Americana. Davanti a quei volti stremati dalla fame e dalle malattie sente il bisogno di catturare quelle immagini e di comunicarle attraverso il disegno. Per William Congdon l’arte esprime il dramma del vivere, una possibilità per conoscere di più la realtà, per indagarla nei suoi aspetti più contraddittori e per cercare di capire infine, il mistero più grande: se stessi.
La pittura di Congdon per tutto il IX secolo si snoda in una straordinaria avventura umana e artistica. Le sue immagini delle città, del deserto, del mare, poi della natura della Bassa milanese dove vivrà gli ultimi 20 anni, non sono astratte e nemmeno figurative. Anche se agli inizi della sua carriera a New York negli anni ’40, partecipa all’avventura della Action Painting insieme ai suoi amici Pollock, Rothko ed altri, la sua pittura nel tempo assume una cifra originale che è difficile paragonare con altri artisti perché affonda in una tensione esistenziale unica e irripetibile proprio perché sua, intrecciata e plasmata dagli avvenimenti di tutta la vita. Calza a meraviglia alla pittura del pittore americano una felice osservazione di Eduardo De Filippo: “chi cerca la vita trova la forma, chi cerca la forma trova la morte” perché la sua pittura nasce sempre da una urgenza di vita, di significato, non è mai condizionata da una preoccupazione stilistica, come anche si evince dai suoi numerosi scritti, e proprio per questo arriva ad una “forma” originale e suggestiva.
La pittura di William Congdon si sviluppa in un itinerario artistico estremamente complesso e articolato, caratterizzato fin dagli inizi dalla convinzione che l’immagine pittorica nasca dal profondo del proprio essere e che il trasferimento sul supporto pittorico sia paragonabile, in tutto e per tutto, all’atto del partorire.
Il volume di Silvio Prota “WILLIAM CONGDON, UN OCCHIO E UN CUORE NUOVO” pubblicato nel 2017 con la SEF- Società Editrice Fiorentina intende proprio dare una chiave di lettura in questa direzione, quella cioè di sottolineare l’unità tra la vita e le opere del pittore di Providence.
L’evento di presentazione del libro suddetto, organizzato dal Comune di Positano per il 15 settembre 2018 presso la Sala Consiliare, vuole non solo celebrare il ventennale della scomparsa del grande pittore ma anche sottolineare l’amore dell’artista per la Campania e in modo particolare per Positano , dove ha soggiornato negli anni ’50 dedicandole numerose opere alle sue straordinarie vedute.
Il Comune di Positano , infatti, possiede una delle vedute più straordinarie di Positano dipinta dall’artista nel 1956, si tratta di Positano 6–Cattedrale, opera probabilmente pervenuta al Comune grazie al lascito della direttrice dell’Art Workshop Edna Lewis, come ci riferisce Matilde Romito che ai pittori che hanno lavorato a Positano nel ‘900 ha dedicato una ricerca storica dettagliata e rigorosa poi confluita nel bel volume edito da Pandemos “La pittura di Positano nel ‘900”.
La conferenza di presentazione del libro “William Congdon, un occhio e un cuore nuovo” vedrà l’intervento di Matilde Romito e dell’autore. Sarà l’ occasione per riscoprire William Congdon, una delle figure più straordinarie del XX secolo, pittore poeta, scrittore e critico d’arte, straordinario dal punto di vista artistico e soprattutto umano .
Gilda Ricci