In Campania continua a mancare una governance autorevole del ciclo integrato dei rifiuti e ancora non si procede alla realizzazione di impianti industriali di trattamento della frazione organica con compostaggio, digestione anaerobica e produzione di biometano. Il risultato è che, in questo percorso lento e aggrovigliato, rallenta la raccolta differenziata da parte dei comuni: sono 238 i “ricicloni”, quelli cioè che nel 2017 hanno superato il 65% di raccolta differenziata come previsto dalla legge,solo 11 in piùrispetto all’anno precedente.
In sostanza è una situazione di stagnazione quella che emerge dalla presentazione del Rapporto Comuni Ricicloni 2018 di Legambiente Campania, nonostante lo sforzo di enti e comunità che da anni consentono alla regione di raggiungereuna percentuale complessiva di raccolta differenziata del 52,67% che rimane in ogni caso la migliore performance nel Mezzogiorno.
Tortorella (Sa), Domicella (Av), Apice (Bn), Baronissi (Sa), Vico Equense (Na), Pozzuoli (Na), sono i comuni vincitori nelle sei categorie per numero di abitanti.
Tra i capoluoghi di provincia soloBenevento con il 66% di raccolta differenziata supera la quota del 65%; segue Salerno con 61%; Caserta con il 52%.Chiudono Napoli e Avellino con rispettivamente 34% e con 31% di raccolta differenziata.
La palma per le migliori performance di comuni ricicloni spetta alla provincia di Salerno dove sono 86 le amministrazioni che hanno raggiunto il 65%; segue la provincia di Benevento con 58 comuni e la provincia di Avellino con 40 amministrazioni.Chiudono la provincia di Caserta con 33 comuni. Fanalino di coda per la provincia di Napoli con solo 21 comuni.
“Oggi -commenta Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania-a quasi tre anni dall’approvazione della Legge regionale n.14/2016, è necessario che la politica si assuma maggiori responsabilità andando oltre la difesa delle norme esistenti. È urgente e necessario che la Regione, affiancando i comuni nella costruzione degli impianti per l’organico differenziato, governi e indirizzi il processo per completare, rafforzare e rendere sostenibile un ciclo dei rifiuti che da incompleto risulta essere ancora ostaggio di un’eterna “emergenza” sempre dietro l’angolo. Sarebbe una “grave colpa” rendere vane le tante esperienze virtuose di cittadini e enti che nonostante tutto continuano a esistere e resistere. Così come riteniamo fondamentale estendere nel più breve tempo possibile la raccolta domiciliare a tutta la città di Napoli.In queste settimane – conclude Imparato– la Campania è stata palcoscenico di una farsa drammatica con protagonisti i rappresentanti del Governo nazionale e regionale con annunci e proclami che non hanno nulla a che fare con il “ciclo integrato delle responsabilità” necessario invece per risolvere la questione rifiuti».
In Campania, stando agli ultimi dati Ispra, nel 2016 si sono prodotte 2,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui il 52% raccolte in maniera differenziata.Dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata oltre la metà sono costituite da organico: 708 mila tonnellate di cui solo il 9% viene trattatonei sei impianti situati sul territorio regionale e attivi nel 2016. Tutto il resto viene portato fuori.
«Questi numeri ci dicono, se ce ne fosse ancora bisogno, che alla Campania non servono nuovi inceneritori e discariche, ma infrastrutture a servizio della raccolta differenziata, a partire dalla frazione organica con impianti industriali di compostaggio e digestione anaerobica per la produzione di biometano – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente –. Questi impianti vanno pensati, progettati e realizzati bene, con processi partecipativi che coinvolgano le popolazioni locali, ma vanno fatti. La Regione su questo deve mettersi in gioco, accompagnando i processi, coordinando le iniziative e mettendo in campo strumenti efficaci per la loro realizzazione. Altrimenti l’alternativa è lo scenario attuale che vede l’organico differenziato raccolto andare negli impianti del nord, con grande felicità degli autotrasportatori. Con costi di trasporto che i Comuni ricicloni non riescono più a sopportare, con il rischio di rallentare o fermare la raccolta differenziata con inevitabili conseguenze nella quantità e qualità».
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