La professione di avvocato è una tra quelle più antiche e storicamente radicate nel territorio italiano. Fin dai tempi dell’Antica Roma, che per prima si era data un ordinamento giuridico organico e sistematico, tanto da essere tuttora oggetto di studio nelle Università, si era resa necessaria una figura professionale in grado di comprendere un sistema di norme così complesso e soggetto ad interpretazioni, così come di muoversi attraverso le complesse dinamiche in cui il processo giudiziario era strutturato, tanto che Cicerone, probabilmente il più importante autore latino, era innanzitutto un avvocato.
La professione di avvocato dunque è probabilmente quella che può meglio recepire i mutamenti in atto nel tessuto sociale e nelle relazioni interpersonali. La scuola napoletana ha poi negli anni contribuito in maniera significativa a consolidare la professione forense nel nostro Paese, ed a conferirne autorevolezza e prestigio, tanto che nel corso della storia repubblicana due insigni avvocati e giuristi napoletani, Enrico De Nicola e Giovanni Leone, sono diventati Presidenti Della Repubblica.
Per questo motivo “Gazzetta” ha scelto di iniziare dalla professione di avvocato il suo viaggio alla scoperta dei mutamenti in atto nelle attività professionali, raccogliendo la testimonianza di un avvocato con oltre 40 anni di attività professionale alle spalle, uno dei più autorevoli esponenti dell’avvocatura napoletana, l’Avv. Prospero Pizzolla, civilista patrocinante in Cassazione, nonchè Vicepresidente di Confedilizia.
Avvocato Pizzolla, la professione di avvocato è adesso più difficile rispetto a 40 anni fa?
La professione di avvocato non è diventata più difficile, è diventata “solo” estremamente più complicata nella sua materiale attuazione, anche in termini di addebiti di responsabilità verso il cliente. La lungaggine dei processi, resa tale non dalle norme introdotte da un Legislatore avveduto ed erudito della materia, ma da carenze di organici, sia nella Magistratura che nel personale amministrativo, nonchè delle strutture stesse, ha spinto il Legislatore poco accorto all’introduzione di norme complicate, poco chiare e pregiudizievoli per gli operatori, finalizzate ad un intendimento deflattivo, che evidentemente si ripercuotono non solo sugli interessi degli utenti, ma anche sui loro difensori. L’esempio più significativo è dato dalla constatazione che più della metà delle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione sono rese in termini di inammissibilità dei ricorsi stessi per violazione di norme processuali, senza approdare quindi ad una valutazione, sia pure nei limiti di un giudizio di legittimità, del merito.
Quali sono stati i principali cambiamenti ed innovazioni nella professione da 40 anni a questa parte?
I cambiamenti ovvero le innovazioni sono stati molteplici; le riforme parziali, soprattutto nelle norme processuali, intervengono di anno in anno, complicando l’iter processuale, al punto che, a distanza di poco tempo dall’entrata in vigore, queste sono state oggetto di abrogazione, come ad esempio il “rito societario” e la norma ex Art 366 bis del Codice di Procedura Civile sulla formulazione dei quesiti nei ricorsi per Cassazione.
Quali sono le qualità che fanno di un avvocato un buon avvocato? Preparazione o vis polemica?
Certamente la preparazione è la qualità essenziale per lo svolgimento dell’attività di avvocato, non disgiunta da una partecipazione assidua ed in termini anche collaborativi con il giudicante nell’ambito del processo. Il processo stesso necessita invero di un difensore tecnico che compiutamente, e possibilmente in modo sintetico, sappia ben individuare ogni aspetto della lite, le norme applicabili alla composizione della lite stessa, ed enunciare la posizione difensiva del proprio assistito.
Quali sono le principali differenze tra la professione dell’avvocato penalista e civilista? Sono inconciliabili le due branche?
Non vi è inconciliabilità tra l’attività dell’avvocato penalista e l’attività dell’avvocato civilista; quest’ultimo è forse deputato ad una difesa maggiormente tecnica ed in forma scritta, pur vigendo nel processo civile il principio dell’oralità. La conferma è data dagli innumerevoli casi in cui l’avvocato esplica con piena capacità entrambe le attività difensive. La difesa svolta da un civilista in un processo penale è talvolta facilmente “individuabile” proprio per un diverso approccio all’interpretazione delle norme, che ad un civilista richiede la conoscenza dell’intero impianto giuridico per una materia più ampia, e forse più complessa.
Qual’è stato l’impatto delle nuove tecnologie sulla professione forense (tenendo conto che 40 anni fa non esistevano fax, pc, telefonia mobile, internet)?
Certamente di grande aiuto è stato l’avvento delle nuove tecnologie nell’attività professionale, e da ultimo, in modo significativo, quello della “posta elettronica certificata”, che consente in tempo reale la conoscenza di atti, ma soprattutto la corrispondenza tra le parti ed i professionisti. L’aspettativa più importante riguarda invece il “processo telematico”, che però a mio avviso avrà lo svantaggio di limitare la dialettica tra il giudicante ed i difensori, aspetto che io considero decisivo ed insopprimibile per una giusta soluzione della lite.
Il problema principale del processo civile è la lentezza dell’iter giudiziario? Cosa si può fare per decongestionare il carico di processi? La mediazione-conciliazione, recentemente reintrodotta, è una risposta sbagliata ad un problema che c’è?
La riduzione della pendenza dei processi, e quindi della loro durata -aspetto più che significativo per la giustizia sia penale sia civile- non può che passare attraverso l’aumento degli organici e delle strutture; vanno dunque evitate le scorciatoie processuali, la riduzione dei gradi di giurisdizione, l’introduzione di Giudici Onorari, e va evitato inoltre l’esperimento di pretesi tentativi obbligatori di conciliazione stragiudiziali come la “mediazione”, reintrodotta nonostante il parere negativo della Corte Costituzionale, che per il passato non ha portato alcun beneficio deflattivo, ma solo ulteriori oneri economici a beneficio dei soli, e soliti, “mediatori”.
Come è cambiato il rapporto tra “anziani” e “giovani” in questi anni nell’ambito professionale?
Certo è cambiato il rapporto tra anziani e giovani professionisti, e non in termini migliorativi: lo “stare a bottega” ed espletare un “apprendistato completo e necessario” consentiva anche l’acquisizione da parte del praticanre di regole di comportamento e soprattutto di modalità di ragionamento, secondo i principi generali, per l’individuazione della natura delle fattispecie, e per l’interpretazione delle norme regolative. Senza questo “iter”, imprescindibile, tra “maestro” ed “allievo” la qualità professionale degli avvocati non migliora, certamente non è migliorata attraverso i crediti formativi, attribuiti anche all’esito di “corsi di aggiornamento” talvolta inadeguati.
In conclusione, quali consigli si possono dare ai giovani che intendono intraprendere la professione di avvocato?
Il consiglio che si può dare ai giovani è quello di scegliersi un buon maestro e di “stare a bottega” con l’intendimento essenziale di apprendere le regole per un proficuo svolgimento della esaltante professione di avvocato, funzione insopprimibile e che non può essere svolta (sia consentita la polemica) con le “botteghe giuridiche” o “punti giuridici”, pubblicizzati con locandine e prezzari in mostra sui cartelloni per le strade.
PIETRO PIZZOLLA