Continua il viaggio di “Gazzetta Di Salerno” nel mondo delle Professioni, e questa tappa è dedicata ad un nome insigne quale François Burkhardt, architetto, designer, critico e docente di Storia Dell’Architettura nonchè direttore della rivista “Domus” ed organizzatore di numerose esposizioni e rassegne in tutto il mondo.
di Gerardo Sano
Affrontare con Francois Burkhardt il tema dell’ organizzazione e della gestione delle istituzioni culturali e della pianificazione urbana o discorrere di designer è un vero piacere. I toni gentili e tranquilli non gli impediscono di affrontare con crudezza i problemi che ingessano la governante dei nostri musei. Già direttore del Centre Pompidou di Parigi e della rivista Domus, è con una certa periodicità presente nella nostra provincia. Durante una di queste visite ha accettato di rispondere ad alcune domande per il nostro giornale.
E’ di grande attualità il dibattito sulla valorizzazione dei beni culturali in Italia e del come riuscire a gestire le istituzioni museali con un maggiore oculatezza. Quale è lo stato dell’organizzazione culturale nel nostro Paese?
La diffusione delle strutture museali in Italia è notevole, molto più che nella stessa Francia. La gran parte di esse versa però in una situazione di precarietà. L’attuale sistema di amministrazione non funziona. Le direzioni non hanno più la piena responsabilità della gestione degli enti culturali, così’ si perde autorevolezza e indipendenza. I direttori in questo modo sono troppo influenzati dalle pressioni esterne. La mancanza di fondi li spinge ad indulgere troppo alle domande provenienti dagli sponsor economici. Tutto ciò produce una scarsa autonomia dei direttori.
La direzione del Centre Pompidou di Parigi, le collaborazioni con agenzie culturali di gran parte delle nazioni europee e non solo, la pone nella condizione di poter raffrontare esperienze diverse. Quali le differenze più marcate?
Al Pompidou di Parigi l’autonomia del Consiglio e della direzione era assoluta. Protetto ed al riparo da ogni pressione politica od economica. E’ un connotato del forte senso dello Stato che esiste in Francia. I dirigenti lavorano tutti per l’affermazione dei valori comuni della nazione. La cultura viene vissuta come un importante traino per il turismo. In Italia non esiste lo stesso senso dello Stato, ognuno lavora per se o nella migliore dell’ipotesi per favorire la propria rete di amicizie. Ci si serve delle Istituzioni culturali invece che servirle per il pubblico.
E’ solo colpa della mancanza del senso dello Stato o vi è anche altro nel malfunzionamento e nella decadenza dei nostri Istituti Culturali?
L’eccessiva frammentazione delle competenze fra vari Enti è certamente un altro dei motivi dell’inefficienza gestionale. Un’unica regia nazionale, come in Francia potrebbe garantire una migliore efficienza. Prendiamo ad esempio l’enorme potere delle Sovrintendenze, un potere del quale spesso si abusa, spesso si blocca la realizzazione di opere contemporanee importanti. Faccio un esempio per tutti: la contorta vicenda per la costruzione dell’auditorium di Ravello.
Mi par di capire che Lei lamenta una scarsa attenzione al contemporaneo?
Sull’arte contemporanea vi è davvero poco in Italia, in particolare nel sud. Basta osservare le difficoltà che attraversa il Museo Madre a Napoli. Non è chiaro se riuscirà ad andare avanti. In queste condizioni come si fa a programmare. Essere direttore di un museo in Italia è una disperazione.
La nostra conversazione inizia con la citazione di un grande architetto quale è Siza. A Salerno è in corso una disputa accesa sulle edificazioni urbane degli ultimi anni. Quale è la sua opinione ?
Dovere dell’architettura è risolvere i problemi urbanistici dell’uomo. Edificare monumenti non integrati con il contesto urbano circostante non è utile. Le opere di Bofil e di Chipperfield vanno nella direzione opposta, era più interessante il Piano Bohigas.
Un’ analisi non certamente incoraggiante della realtà italiana. Si può fare qualcosa per uscire dalla decadenza?
L’Italia è un Paese meraviglioso, governato malissimo. Negli anni 50 e 60 gli italiano furono i primi a lavorare alla modernizzazione delle strutture storiche. Fu costruito un rapporto proficuo fra il contemporaneo ed il tessuto storico. Anche il designer è all’avanguardia, perché legato alla produzione artigiana, non come in Germania dove è stato serializzato tutto. Solo che in Italia l’artigianato è trattato male e le aziende chiudono. Così si fa morire il made in Italy.