TEATRO Diana – SALA PASOLINI
di Salerno
mercoledì 12 febbraio – ore 21
RENATO CARPENTIERI
STEFANO JOTTI
LE BRACI
dall’opera di Sándor Márai
adattamento Fulvio Calise
con
Renato Carpentieri
Stefano Jotti
drammaturgia e regia Laura Angiulli
scene Rosario Squillace
disegno luci Cesare Accetta
“Quando il destino, sotto qualsiasi forma, si rivolge direttamente alla nostra individualità, quasi chiamandoci per nome, in fondo all’angoscia e alla paura esiste sempre una specie di attrazione, perché l’uomo non vuole soltanto vivere, vuole anche conoscere fino in fondo e accettare il proprio destino, a costo di esporsi al pericolo e alla distruzione…” ,
(S. Márai)
Due uomini alla resa dei conti. Henrik, un anziano militare. Konrad, il suo migliore amico. Due voci risuonano dagli abissi delle loro vite di solitudine. Sono le braci dell’incendio di un mondo che non esiste più; braci non ancora ridotte in cenere, covate sotto i carboni consunti dell’esistenza trascorsa. Sopravvissuti al loro tempo, sono entrambi tenacemente rimasti vivi resistendo stoicamente in una bolla d’attesa, lunghissima, diretta solo al momento cruciale del reciproco rendez-vous.
Vanitas e ricordi sono fumi di ciò che resta dei grandi sentimenti ottocenteschi, idealizzazione dei “legami di parentela spirituale” traditi, ora riposti nelle morte proiezioni dei fantasmi delle loro vite trascorse.
L’incomunicabilità si traveste da orgoglio. Brucia il diario di Krisztina, moglie e amante, o del tradimento del principio d’onore. Cosa ne è stato dunque dell’umanità del singolo, di quella età dell’oro anteriore alla Grande Guerra che ne ha segnato la battuta d’arresto, quando la dignità rendeva uomini e la passione ne alimentava i sentimenti? Come candela, la vita deve bruciare fino in fondo.
La forza d’immaginazione della morte, in opposizione alla vendetta che tiene in vita, è più poderosa dello stesso vivere, una conclusione non evitata né cercata, tra coraggiosa attesa e paura del vero, indicibile e umano.
“Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro.” (S. Márai)
Vi è un segmento letterario che riflette sul senso della vita, sul destino e sull’incomunicabilità tra gli individui, temi che animano la letteratura europea tardo ottocentesca e si estendono fino agli albori del secondo conflitto mondiale e oltre.
Dai Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, all’uomo della folla, il flâneur del simbolista Charles Baudelaire, alcuni autori di grande raffinatezza intellettuale quali A. Strindberg, T.S. Eliot, J.P. Sartre, ma anche Walter Benjamin, James Joyce, D.H. Lawrence, Ferdinand Céline, Franz Kafka, Luigi Pirandello e altri ancora – ciascuno a proprio modo e in una visione critica spesso ferale – elaborano il sentimento di deumanizzazione della società moderna, dando forma a un vasto contenitore letterario dai confini incerti, che si definisce con il termine Esistenzialismo, in cui molti temi dei movimenti modernista e crepuscolare possono essere inscritti. A questo ambito appartiene l’idea dell’uomo attraversato da un profondo senso di alienazione e solitudine, testimone di un mondo al suo declino, diviso tra passato idealizzato e presente moderno e disumano.
Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le Braci – Le candele bruciano fino in fondo, il titolo originale pubblicato nel 1942 -Un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che assieme guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale e al transito in un “nuovo mondo”, rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni.
Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che aspetta il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso fino ad un mattino del 1940, quando riceve all’improvviso l’annuncio della sua visita.
Nei personaggi de Le Braci, le attitudini dei due caratteri opposti legati da antica amicizia – onore, orgoglio e disciplina nella socialità per il soldato Henrik, melancolico temperamento artistico da poeta per il fuggitivo Konrad – rispecchiano valori decaduti tardo ottocenteschi. La questione di fondo qui posta è puramente etica, umana, dove l’elemento destabilizzante della ragione risulta essere la passione contenuta nel desiderio. Bisogna essere coerenti con se stessi o rispettosi degli altri? Il senso della vita risiede nel legame d’amore che ci unisce a qualcuno. Il disincanto della risposta rende impossibile il rimarginarsi delle ferite. Ma permette di morire pacificati.
“Si può e soprattutto si deve restare fedeli alla passione che ci possiede, anche se questo significa distruggere la propria felicità e quella degli altri?”. “Perché me lo chiedi? Sai che è così”. (da Le Braci)