“Chiedimi chi era mia madre, chiedimi chi era mio padre, e conoscerai l’orrore di cui sono fatta, il miasma che corre nel mio sangue. Che cosa mi ha generato? Quale eros impronunciabile ha tessuto le fibre della mia persona e della mia carne? Un fremito mi risale dalle viscere se pronuncio quei nomi: Gio-ca-sta… E-di-po…mia madre, mio padre. Eppure, non semplicemente un padre e una madre, no, ma un figlio che senza saperlo sposa sua madre, una madre che senza saperlo sposa suo figlio: insomma, un uomo e una donna a cui un gioco atroce del destino ha mostrato come nella nascita possa implodere la vita, come forse ogni nascita sia un’implosione: il punto in cui origine e fine convergono. Io sono quel punto, o più precisamente la sua coscienza”. E’ la giovane Antigone a parlare: il personaggio mitologico ideato da Sofocle, che sfida il potere, oltraggiando la legge di Creonte; che sacrifica la sua vita pur di assicurare al corpo del fratello Polinice la sepoltura che il re di Tebe, non vuole concedergli. “Io non sono fatta per comprendere il potere umano, il suo linguaggio ed esercizio. Perciò ho versato manciate di terra su Polinice, e ora sono rinchiusa in questa nicchia scavata nella roccia. E così ho fatto piovere un pugno di terra dal palmo della mia mano sul suo corpo, velandolo appena, però, come un leggerissimo sudario. Tanto mi è bastato, per quella notte. Avrei potuto, avrei dovuto fare di più, insistere a coprire di terra Polinice, ma me lo ho impedito l’illusione che quel sudario di finissimi grani di polvere potesse proteggere il suo corpo e insieme trattenerlo sul limitare del mondo dei vivi”, racconta Antigone che per questo suo gesto è condannata da Creonte a morire di fame in una caverna. Lo stesso Creonte, su consiglio dell’indovino Tiresia, si convince a concedere la grazia ad Antigone che però si toglie la vita, pur essendo venuta a conoscenza del ravvedimento del Re. “Ho vinto, dunque” dice Antigone nella caverna – ” Ma perché l’aver vinto mi sembra ancor meno sopportabile di una sconfitta? Perché sento di non riuscire a sostenere la gioia degli altri, come se non questo volessi, come se non avessi lottato che per morire, per invocare la morte su di me, la fine di tutto, il riposo come giusta ricompensa a chi sa accendere negli altri la speranza, infiammarne i cuori, senza riuscire mai, neppure per un istante, a placare la propria angoscia? Non posso tornare alla luce, non ce la farei: sento che i miei occhi si ferirebbero e la mia mente ne uscirebbe definitivamente stravolta. Non reggo al peso di una verità che con il suo trionfo non sa alleggerirmi il cuore “. In quella caverna, sono questi gli ultimi pensieri di Antigone che nella celebre tragedia sofoclea non sono scritti. Nel suo testo “ La parabola di Antigone”, la professoressa salernitana Anna Rotunno, autrice di testi classici e sceneggiatrice, ha voluto scandagliare nell’animo di Antigone. Questo testo è stato trasposto in uno spettacolo teatrale con la regia di Andrea Carraro, che è stato rappresentato, giovedì sera, in occasione della trentasettesima edizione del “Barbuti Salerno Festival” che in circa trenta serate ha ospitato quasi tremila spettatori, anche turisti italiani e stranieri, come hanno spiegato Chiara e Rossella Natella che, insieme a Raffaele Sguazzo, organizzano la rassegna teatrale ideata da Peppe Natella.
Straordinaria e coinvolgente emotivamente l’interpretazione della bravissima attrice salernitana Paola Senatore che, per quaranta minuti, muovendosi sul palco, avvolta dalla suggestiva scenografia realizzata dalla “Bottega San Lazzaro”, ha emozionato il pubblico che alla fine dello spettacolo l’ha applaudita a lungo. ” Ho già interpretato il testo di Anna Rotunno: in forma di monologo è la seconda volta” – ha spiegato l’artista – “ Ogni volta riscopro qualcosa di nuovo. Entrare nella musicalità del linguaggio, che è molto complesso, è stato per me molto interessante. Originale il punto di vista di Anna Rotunno che guarda nella caverna dove invece la tragedia non guarda. E’ stata una bella scoperta”. E Antigone (Paola Senatore), sorella di Eteocle, Polinice e Ismene, “ tutti generati da una “unione mostruosa”, ha raccontato il suo dramma, la sua solitudine, il suo dolore: ” Può essere una consolazione sapere che non siamo nulla quando il dolore ci attanaglia, benchè saperlo non significhi crederci. Se noi stessi non siamo nulla, nulla è il nostro insostenibile dolore. C’è l’Impossibilità di credere al nulla: è l’appartenenza alla vita che ci ammala. Tutti. Ma quest’unico male prende forme diverse, creando barriere fittizie e false differenze”. La professoressa Anna Rotunno, attraverso il suo testo, che ha scritto molti anni fa, ha colto nell’Edipo Re e nell’Antigone di Sofocle alcuni aspetti della figura di Antigone che non sono messi in luce nelle interpretazioni di questo personaggio che tutti noi conosciamo :” Un personaggio che viene sempre associato all’idea che esistano leggi divine, al di là di quelle umane, che pur non essendo scritte devono essere necessariamente rispettate. Antigone vuole che sia rispettata la legge della sepoltura dei morti, a prescindere dalle azioni che hanno compiuto in vita. Per lei i morti sono riguadagnati al sacro e inviolabile mistero della vita. Sono intangibili, i morti, perché sono al di fuori del tempo, anche di quello della loro vita e delle loro azioni. I morti, tutti i morti, senza distinzione, sono una specie di acrobati, per lei: muti acrobati sospesi per sempre su un filo invisibile, e che non conoscono la caduta!”. La professoressa Rotunno ha spiegato che Sofocle, nelle sue opere, suggerisce anche altro:” Che Antigone , in quanto figlia di un incesto, non può essere votata alla vita . E’ necessariamente spinta verso la morte. E’ come se l’incesto rappresentasse una sorta di collasso, d’implosione della vita: Antigone è espressione di questa implosione “. La professoressa Rotunno ha anche spiegato che non sono i miti greci a essere attuali ma che è l’uomo ad essere antico: ” Il mito rappresenta tutto quello che è da sempre e che sarà per sempre l’umano possibile”. Lo spettacolo di Andrea Carraro e Anna Rotunno è stato già rappresentato al “Teatro del Giullare”, nel Museo di Paestum, in quello di Pontecagnano Faiano, e al Teatro Ghirelli:” E’ stato inserito anche nella programmazione del prossimo anno dei siti archeologici italiani come quelli di Ostia e in Friuli” , ha annunciato il regista, Andrea Carraro, che ha ringraziato gli organizzatori del Teatro dei Barbuti :” Hanno avuto il coraggio di dedicare degli spettacoli ai “Miti del mondo antico” , e il pubblico, che ha apprezzato questi spettacoli:” Se lo facciamo è perché sentiamo il vostro calore che ci dà la forza di continuare e di dimostrare che, nonostante il mondo cambi, il Teatro non morirà mai”.
Aniello Palumbo