La “cultura dell’alibi” si colora di bianconero.

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a cura di Francesco Sassano per info sassanof@libero.it

Una storia da Raccontare:

Solitamente siamo abituati  a leggere sulle cronache sportive del Lunedì i  piagnistei delle piccole squadre.  Quanti di Voi si ricordano la definizione di  –  sudditanza psicologica –  termine utilizzato dal compianto Costantino Rozzi, per denunciare i torti arbitrali.

Con il Suo famoso  neologismo negli anni 90’ il Presidente dell’Ascoli ,  fotografava  una certa accondiscendenza della classe arbitrale nei confronti delle prime della serie A.

Di una cosa siamo certi le decisioni dell’arbitro Marcenaro, lasceranno il segno nel calcio italiano, difatti il match tra Juventus e Salernitana  segna a nostro avviso uno  spartiacque tra la cosiddetta sudditanza psicologica mitigata dall’intervento chiarificatore del VAR, capace per il  90% delle volte di mettere in evidenza invisibile attraverso ausilio delle nuove tecnologie ma implacabilmente lasciando un margine d’errore umano fermo al 10%.   Non sarà nostro compito disquisire sulla posizione regolare di Bonucci e sul conseguente goal annullato a Milik. Lasciamo questo ingrato compito ai tanti commentatori sportivi.

Piuttosto, rivolgiamo il nostro interesse alla sdegnosa rissa finale tra i calciatori, che ha visto espulsi Allegri e due tesserati per le loro intemperanze.

Ci troviamo di fronte ad uomini di calcio, esempi per molti,  incapaci di gestire “successi e sconfitte”  da veri uomini finendo per incolpare l’altro, trasformando un campo di calcio in un ring. Ed in tutto ciò il mainstream  non si dissocia anzi  contribuisce  a dividere  il mondo in “vincenti e “perdenti”.

Ma quello che manca in questo momento al calcio italiano è la costruzione di una “mentalitá vincente”. Difatti, chi fa sport sa bene che non si può vincere sempre.  Per forza di cose l’eccezione è vincere la  norma prevede un alternanza di vittorie e sconfitte.  Di conseguenza è più facile costruirsi un alibi.

Il primo a parlarne nello sport di “cultura dell’ alibi” è stato Julio Velasco, allenatore argentino che negli anni Novanta guidó, la Nazionale di pallavolo verso una serie di successi senza precedenti.

Potremmo esemplificare con un esempio la “cultura dell’alibi” ossia nel classico atteggiamento di chi invece di ragionare sulle ragioni di un mancato obiettivo o fallimento utilizza espressione – non è colpa mia – ed individua al di fuori di sé i responsabili.

Ciò che ci colpisce di piú:

È come un Club plurititolato come la  Juventus abbia completamente smarrito il proprio stile  ricorrendo alla “cultura dell’alibi” per giustificare il proprio periodo negativo per di più supportata da quasi la totalità dei mezzi di informazione nazionali.

Un atteggiamento di questo tipo non è costruttivo . Se infatti non riconosciamo di aver commesso un errore, non potremo mai porre rimedio e migliorare.

La lezione :

Velasco più di tutti sintetizza il concetto  –  Che cos’è  un alibi? È dire che non posso fare questo non perché non ci riesca, ma perché c’è  qualcosa che lo impedisce e che io non posso modificare. Qualcosa di più grande di me. Questi alibi noi li abbiamo combattuti in tutti i sensi. Quindi quando ci è toccato perdere non abbiamo detto niente. E ci siamo preparati da quel giorno per vincere un’altra volta –

L’avvertimento:

È arrivato il momento di abbandonare la “cultura dell’alibi” in favore di una NO-ALIBI CULTURE.

La domenica sera, sarebbe piacevole mettere da parte il “vittimismo” da moviola, e finalmente lasciare spazio alle soluzioni. È vero i singoli episodi a volte ci possono penalizzare, considerarli all’interno della complessità degli avvenimenti è il metodo migliore per non essere sopraffatti dalla rabbia post gara o peggio dalla classica piangina  del giorno dopo. In sostanza –  se sei più forte alla lunga vinci