La Cappella di San Vito a Montecorvino Pugliano.

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di Pasquale Martucci

Il prossimo 14 giugno 2022 sarà presentato il libro: Conforti G., a cura di, La Cappella di San Vito a Montecorvino Pugliano, Edizioni ARCI Postiglione, 2022, con un’introduzione di Don Julian Rumbold e gli interventi dei professori: Vincenzo Aversano, Chiara Lambert, Barbara Visentin. Le conclusioni saranno affidate all’arcivescovo di Salerno SE Mons. Andrea Bellandi. Modera Giusy Vivone.


Nella zona del Sele, si trova la Cappella rurale di San Vito a Montecorvino Pugliano, dove si usava celebrare un banchetto agreste, con offerte di polli, oche, grano, olio santo e con la benedizione del pane dato ai cani. Venivano solennemente consegnati gli ex-voto e tutta una serie di oggetti ‘per grazia ricevuta’. Soltanto alla fine di tutto il cerimoniale e col ritorno della statua nel tronetto sopra l’altare si poteva ritenere conclusa la parte religiosa della giornata e si cominciava a pensare a mangiare: per la verità un po’ tutti avevano più volte pensato di sbocconcellare almeno un tozzo di pane a biscotti ma nessuno aveva ardito di passare dal pensiero al fatto: per una serie di ataviche esitazioni dovute a paure, timori di malauguri, vendette del Santo”. (Paraggio G., Il Giorno di San Vito, in: Conforti G., a cura di, La Cappella di San Vito a Montecorvino Pugliano, Edizioni ARCI Postiglione, 2022)

Fino agli anni 1990, a Montecorvino Pugliano, in occasione della festa di San Vito, una processione partiva dalla Cappella alle ore 7 di mattina e passava per tutte le masserie, rientrando a sera tardi. Oggi, durante la Novena che precede il giorno di festa (15 giugno), la statua del Santo viene portata in casa dei fedeli dove sosta per un giorno, prima di partire per essere accolto tra le mura di un’altra famiglia sanvitese. Si tratta di forme di religiosità popolare che si sviluppano intorno ad un culto che ha antiche origini.

Intorno alla Cappella di San Vito, si è concentrata l’attenzione di Generoso Conforti, che ha curato il volume: La Cappella di San Vito a Montecorvino Pugliano. Oltre ai suoi scritti: i riferimenti storici, le vicende del territorio, l’ubicazione e la viabilità, le condizioni socio-economiche della zona, l’evoluzione di una struttura che dall’anno mille ha conosciuto alterne vicende di famiglie, che ne hanno avuto il “diritto di patronato”, fino alle recenti ristrutturazioni, Conforti ha inserito nel libro ben tre saggi: Il Culto di San Vito in provincia di Salerno, di Giuseppe Barra; La Chiesa del Principe. San Vito di Montecorvino Pugliano tra controllo del territorio, spiritualità e arte, di Barbara Visentini; Il Giorno di San Vito, di Geremia Paraggio di cui ho reso conto in un passo all’inizio. La conclusione è affidata ad una ricca Appendice documentaria e geo-fotografica e ad una rilevante bibliografia.

Conforti affronta la questione del territorio, uno dei tanti possedimenti che la Mensa Arcivescovile di Salerno aveva nello Stato di Montecorvino. Seguono le vicende storiche a partire dall’anno mille. La cappella di S. Vito assegna il nome alla zona, come è prassi comune a tutte le località, dove sorgono queste strutture di antica fondazione.

Il toponimo del luogo è documentato in un atto del 1260: “il nobile Petrus Capuanus di Amalfi era proprietario di alcune terre, site nel territorio di Montecorvino”, con limiti ben delineati: ad occidente un terminus nei pressi della chiesa di San Vito, da identificarsi con la chiesa nel territorio dell’attuale Comune di Montecorvino Pugliano.

La più antica attestazione dell’insediamento di San Vito proviene da un documento del 984, con il quale “per volere della badessa del monastero femminile di San Giorgio di Salerno, Marocza, fu ceduta, per dodici anni ad pastenandum, una terra alberata, sita nelle pertinenze dell’hecclesia Sancti Biti, in località Ortelle, ulter flubio Pecentino abet in Salernitanis finibus. La prima notizia della cappella è dell’anno 1049. In un documento del Codice diplomatico Cavense è detto: vallone quod vallemonium dicitur ipsa ecclesia sancti viti. Nel 1114, in un atto di donazione, che la badessa Cecilia del monastero di S. Giorgio di Salerno fa legalizzare nel 1167, è specificata la località dove è ubicata la chiesa di S. Vito: in locis Lama et Berdasca ista parte fluvii quod dicitur Tusciano ecclesia sancti Viti constructa est. Infine, con decreto arcivescovile del 28 giugno 1986, tra le nuove parrocchie erette in Bellizzi figura quella dei Ss. Giuseppe e Vito con sede in Bivio Pratole.

La Chiesa è di chiara impronta longobarda, l’ultimo baluardo del Locus Tuscianum, dominando, dalla collinetta su cui sorge, tutta la pianura sottostante. Oggigiorno si celebra l’eucarestia nel prolungamento dell’antico edificio, che configura un ambiente a pianta rettangolare, ad unica navata, con copertura in struttura d’acciaio su telaio in c.a. e manto in lamiera grecata coibentata. L’aula è pavimentata con piastrelle quadrate in cotto. Il presbiterio è sopraelevato rispetto all’aula su di una pedana in legno. La facciata dell’antico edificio si presenta con ingresso ad arco sormontato da una bifora vetrata e dal campanile a vela.

San Vito è venerato anche come san Vito di Lucania o san Vito martire (Mazara, III secolo – Lucania, 15 giugno 303). Fu un giovane cristiano che subì il martirio nel 303 d.C., durante la grande persecuzione di Diocleziano. Secondo una passio del VII secolo, il fanciullo siciliano Vito, rimasto orfano di madre, fu affidato alle cure della nutrice Crescenzia e dal pedagogo Modesto, che lo fecero convertire alla fede cristiana. Dopo aver operato molti miracoli, Vito sarebbe stato arrestato insieme ai due tutori dal preside Valeriano su istigazione del proprio padre. I tre subirono molte torture: la leggenda vuole che vennero immersi in calderoni pieni di pece bollente, ma rimasero illesi; furono quindi gettati in pasto ai leoni, ma le bestie divennero mansuete; i torturatori non si arresero e li appesero ad un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra. Comparvero degli angeli che li liberarono e li trasportarono presso il fiume Sele. Durante il viaggio, pare che fossero nutriti da un’aquila che portava loro cibo e acqua. Essi ormai sfiniti morirono il 15 giugno 303.

Un secondo passaggio del lavoro di Conforti riguarda le condizioni sociali della zona. I contadini stavano sui monti e coltivavano le terre vicine al villaggio, abbandonandole al tramonto per sfuggire all’infezione malarica. A testimoniare il ritorno alla campagna, rimangono i ruderi delle cappelle rurali costruite intorno al mille in varie località dell’interno. Solo alla fine dell’Ottocento, con l’opera di bonifica, avviata negli anni ‘30 e completata negli anni ‘50 del secolo successivo, si è avuto uno sviluppo della zona con un incremento non trascurabile della coltivazione delle terre e con la residenza permanente delle prime famiglie.  La Riforma Agraria ed i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno portarono all’intensificazione e alla specializzazione della produzione agricola: la gestione fu radicalmente modificata con la creazione di aree irrigue, la trasformazione del seminativo asciutto in alberato, la riduzione di prati e pascoli con conseguente mutamento del paesaggio agrario. Crebbe inoltre il numero degli addetti in agricoltura. Nell’immediato dopoguerra, il territorio di San Vito ebbe un notevole sviluppo urbanistico, con la costruzione di case rurali, sparse nel territorio circostante la Cappella. Negli ultimi decenni, si è avuta un’ulteriore espansione demografica, con la presenza sul territorio comunale di aree commerciali ed aziendali e con l’apertura, nel dicembre 2009, del nuovo svincolo autostradale.

A conclusione delle sue argomentazioni, Conforti non poteva non riferirsi a tutto ciò che ruota intorno alla cappella, con il possesso “diritto di patronato” ad alcune famiglie che detenevano terreni in prossimità, legate alla Chiesa Salernitana. Il diritto di patronato è definito “come l’insieme dei privilegi che uniti a determinati oneri, competono per concessione della Chiesa a cattolici fondatori di una chiesa, di una cappella o di un beneficio, o anche a coloro che ne sono gli aventi causa”. Il diritto di patronato non comporta quindi per sé la proprietà della chiesa o cappella, anzi, di regola, si distingue dal diritto di proprietà dell’edificio sacro che, secondo l’ordinamento canonico, compete all’ente ecclesiastico proprietario. È da rilevare il lavoro di ricerca di documenti storici e fonti archivistiche.

Per andare alle vicende più recenti, la Cappella, nell’accertamento e classamento eseguito in data 8 agosto 1946 dall’Ufficio Tecnico Erariale di Salerno, veniva iscritta al Nuovo Catasto Edilizio Urbano del comune di Montecorvino Pugliano. La completa ristrutturazione con ampliamento dell’edificio fu realizzata una ventina di anni fa ed inaugurata il 29 novembre 2001, con la benedizione dell’arcivescovo di Salerno, mons. Gerardo Pierri. Dal 1986, la cura pastorale della comunità della frazione di San Vito è stata affidata alla parrocchia dei Santi Giuseppe e Vito, sita in località Bivio Pratole di Montecorvino Pugliano, “eretta con Decreto Arcivescovile del 28 giugno 1986 e riconosciuta civilmente il 29 novembre 1986”, che aveva “acquisito il titolo di S. Giuseppe, cappella posta in Bivio Pratole, e di S. Vito ai Porrazzi, cappella dell’XI secolo posta nella località omonima”. Ecco perché, pur dedicata a San Vito, fa parte della parrocchia dei Santi Giuseppe e Vito.

Brevemente in conclusione rendo conto degli altri due scritti.

Barbara Visentin (La Chiesa del Principe. San Vito di Montecorvino Pugliano tra controllo del territorio, spiritualità e arte) contestualizzando la Cappella, la descrive e ne traccia le ricchezze artistiche, senza trascurare le prime attestazioni tratte dai documenti storici. Scrive poi che dell’antica chiesa rimane soltanto l’abside, decorata da una pregevole Ascensione: “l’affresco si stende sul primo strato di intonaco, poggiante direttamente sulla struttura muraria antica, e costituisce il primo dipinto eseguito nell’intradosso dell’abside della chiesa di San Vito, da porre in relazione cronologicamente con la fondazione della cappella”.

Il culto di San Vito in provincia di Salerno, di Giuseppe Barra, è un excursus sulla presenza del santo nel territorio salernitano, dove si conserverebbero alcune reliquie. L’autore parla delle varie località in cui si esplicita con grande trasporto la devozione verso San Vito.

Rilevo l’interesse del volume, in quanto coniuga storia, cultura e territorio e si occupa delle forme di vivere una ricorrenza, quello di un santo particolarmente importante per la zona, di cui se ne evidenzia con efficacia la presenza. Fa in sostanza da preludio alle manifestazioni devozionali e alle componenti sociali di un evento, che è la giusta modalità di mettere insieme passato e presente, per dare una complessa cornice entro cui si manifesta l’attuale esigenza delle persone di vivere e trovare nel territorio le forme idonee di aggregazione e partecipazione.