Jazz al Bahr, Armanda Desidery Quartet venerdì 18 alla Stazione Marittima.

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Jazz Bahr dove Bahr sta per mare in arabo ed “E’ là, giustamente, l’origine. Non bisogna stupirsene. Questa agitazione si trova nell’udito, al di qua dei segnali definiti, al di qua del silenzio. Il silenzio del mare è un’apparenza. Il rumore di fondo è forse lo sfondo dell’essere”.

E’ il Michel Serres di Genesi che citiamo quale talismano per la prima serata della rassegna musicale ospite della Stazione Marittima, negli spazi Bahr di Roberto Lumino, il quale insieme ad Elio Macinante, ha pensato di ridonare uno spazio per “fare” jazz a Salerno.

Serata inaugurale, fissata per il venerdì 18novembre, con start alle ore 21,45, affidata alla pianista Armanda Desidery che si presenterà con la sua formazione d’elezione, in quartetto, con Emilio Silva Bedmar al sassofono tenore e flauto, Guido Russo al basso e Mario Basile Lopez alla batteria per una serata nel segno del latin jazz. Il “Sueno Latino” sarà infatti, garantito dal virtuosismo di Bedmar, dall’incisivo groove di  Guido Russo, dal tocco afrocubano di Mario Basile Lopez e dal pianismo di Armanda  che collega e colora il tutto con le tipiche figurazioni cubane e caraibiche. Questo quartetto è una formazione che mescola i suoni della musica latina, del jazz,  del flamenco con riferimenti ai maestri del genere (a partire da Dizzy Gillespie a  Machito a Tito Puente a Paquito D’Rivera), non mancherà di suscitare quell’ampio spettro emozionale  tipico di questa musica,  energica ma anche irrimediabilmente  romantica. Un concerto di Armanda è un’esperienza estremamente coinvolgente, grazie al suo pianismo sostenuto, una miscela efficacissima e potente di latin, funky e blues, a dare sostanza e nerbo ai brani, una vera festa di suoni e ritmo. In effetti, è soprattutto come pianista che Armanda si impone, per quel particolare approccio che trasforma anche il brano più intimo e riflessivo, in una originale esplosione di ritmi, con l’intensa carica della mano sinistra  e la destra che costruisce la melodia. Un pianismo anche percussivo il suo, che sforna continue invenzioni sonore, stigmatizzata dallo scat di stampo afroamericano e, ancora, dalla velocità di esecuzione che la portano a non avere pari concorrenti, ma al quale sa aggiungere anche coloriture e nuances melodiche che si elevano sulla ritmica, assumendo una dolcezza espressiva che sa stemperarsi anche nella malinconia.

I nostri viaggiatori disegneranno mappe, proprio come accade per i monti, i fiumi, le pianure. Sarà, però, una cartografia sonora che sovvertirà le certezze, invece di fissare coordinate precise. Niente è più fluido ed evocativo di un paesaggio acustico, perché dai suoni trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza, rispetto al tempo e ai luoghi. Niente è più vibrante di un corpo d’acqua, sulle cui rotte avviene la diaspora di ritmi, melodie, vocalizzi, tonalità, inseguendo destabilizzanti scie sonore di un archivio liquido e meticcio. Le suggestioni di questa musica nascono dal racconto di un’idea meno scontata di identità e di dimora. La sensualità dei suoni, la memoria millenaria che custodisce, e le appartenenze che mettono in gioco, ci convinceranno che l’importante non è tanto avere una casa nel mondo, bensì creare un mondo vivibile in cui sentirsi a casa.