Nessuna mediazione, nessuna intenzione di piegarsi al “ricatto” della minoranza: Matteo Renzi traccia una linea retta sulla strada della legge elettorale. “Entro il 27 aprile – scandisce – la legge elettorale deve essere in Aula e a maggio dobbiamo mettere la parola fine: è giunto il momento di decidere, sono contrario a ritoccare il testo”.
E così la riunione della direzione del Partito democratico si trasforma in un ring. Da un lato la minoranza, che annusa aria di elezioni anticipate e, per una volta compatta, va avanti sulla sua battaglia per ottenere alcune modifiche all’Italicum. Dall’altra i renziani, stanchi di essere descritti come “nordcoreani” obbedienti. Alla fine il voto sulla linea del premier è unanime (120 sì), ma solo perché la sinistra dem non vota.
E Roberto Speranza avverte che sulla via delle riforme Renzi “rischia di perdere un pezzo di Pd“. Uno dei passaggi più delicati della vita del partito renziano viene segnato da una lunga relazione (“In stile cubano”, dice polemico Alfredo D’Attorre) in cui il segretario difende le ragioni del testo attuale della legge elettorale e più in generale delle riforme del governo. Anche da chi vorrebbe avere “il monopolio della parola sinistra” solo perché “la usa con più frequenza”.
E’ un attacco rivolto a Bersani e Cuperlo, ma anche a chi incombe dall’esterno: la coalizione sociale di Maurizio Landini. Con il leader della Fiom Renzi è durissimo, lo paragona a Matteo Salvini e dipinge entrambi come “soprammobili da talk show che perdono il contatto con la realtà”. Sarà la “realtà”, è lo schiaffo a Landini, a respingere le “Unions”, perché, dice il leader Pd, “la coalizione sociale è una grande sfida culturale, ma non rappresenta il futuro della sinistra e neanche il suo passato. Non mi toglie il sonno”. “Io i soprammobili li tratto con cura, comunque detto da uno che tende a controllare la tv e che usa le slide per fare comunicazione…”, ha replicato il segretario generale della FIOM in tarda serata all’accusa mossa dal Premier nei suoi confronti.
A chi come Pier Luigi Bersani gli chiede di “fare sintesi” e non proporre “aut aut” sull’Italicum, il premier risponde è arrivato il momento di smetterla di “ritoccare” il testo e approvare in via definitiva la legge elettorale, perché è in gioco “la dignità e qualità del governo” e la “credibilità dell’Italia”. “Decidere non è una parola fascista“, dichiara. E dopo il porcellum che consegnava ai cittadini parlamentari ‘a sorpresa’, “come con la Mistery box di Masterchef”, spiega che mentre il Mattarellum “non dà la certezza di un vincitore”, l’Italicum “realizza vocazione maggioritaria”. E assegna con le preferenze “almeno il 50%” dei seggi. Cambiare la legge alla Camera e rimandarla al Senato non solo sarebbe come “un gioco dell’oca”, aggiunge Renzi, ma sarebbe anche “un clamoroso errore e un azzardo” visti i numeri risicati. Anche perché Berlusconi, inseguendo Salvini, si è sfilato e i 5 Stelle, guidati da un Grillo “diventato uno sciacallo” dice “no a prescindere”. Dunque non si permettano alcuni deputati della minoranza Pd di minacciare di far saltare l’Italicum grazie al voto segreto: “Questo ricatto non lo considero neanche”, alza la voce Renzi. “Metto la fiducia nel Pd su questa legge – conclude – E valuteremo se metterla in Parlamento, anche se qualcuno ha detto che non si può”.
Ma la minoranza non molla. Pippo Civati non riesce a convincere i colleghi a fare un intervento unitario, ma ottiene che nessun esponente della sinistra dem partecipi al voto in direzione. Il “dialogante” Roberto Speranza, mettendo “a disposizione” anche il suo “ruolo”, fa un ultimo appello a “utilizzare ogni margine” per non “perdere un pezzo di Pd”. Anche Gianni Cuperlo avverte che solo con qualche ritocco il Pd resta unito. Tra i più decisi a votare contro il testo proposto da Renzi c’è anche un pezzo di Area riformista guidata da Speranza, incluso Bersani. Il bersaniano Alfredo D’Attorre, protagonista di uno scontro con Renzi, parla della fiducia come di un “ricatto” alle Camere e accusa il premier di voler andare al voto anticipato, senza più curarsi della riforma del Senato ma puntando solo a incassare la legge elettorale. Mentre Stefano Fassina dà il via a uno scontro tra renziani e minoranza senza esclusione di colpi. Accusa la maggioranza del Pd di un “conformismo” come nel Partito comunista della Corea del Nord. E i renziani si infuriano. Accusano a loro volta la minoranza di minacciare le riforme per i loro interessi. E Roberto Giachetti sbotta: “Bersani oggi vuole il Mattarellum ma quando poteva ha votato contro: faccio fatica a non incazzarmi…“. (ANSA)