I dati pubblicati da L’Espresso, che cita fonti dell’Istituto Europeo di Statistica, sono impietosi, in Italia nel 2013 le persone a rischio povertà o esclusione sociale sono al 28,4%, il secondo peggior risultato degli ultimi 10 anni.
Se poi si entra nel dettaglio regionale, si scopre che ad esempio in Sicilia la percentuale di queste persone supera il 50%, cioè la maggioranza dei cittadini è a rischio povertà, e non sta tanto meglio la Campania, che conta il 49% dei cittadini a rischio povertà. Ci sono però regioni del nord, come la Liguria, in cui negli ultimi 4 anni questa percentuale è praticamente raddoppiata, arrivando a sfiorare il 25%
La tendenza generale è comunque al peggioramento, l’unica eccezione è la Provincia Autonoma di Bolzano.
Cercando di approfondire la composizione sociale di queste persone, si va a vedere che ci si trova in presenza prevalentemente di persone in cerca di occupazione o lavoratore autonomo, sotto i 35 anni e con un basso livello di istruzione.
E’ quella degli under 35 la categoria più penalizzata, per gli over 65 la tendenza anzi è quasi al miglioramento.
Il divario generazionale è evidente, e sembra più dovuto a fattori struttutali che a fattori contingenti come la crisi economica e finanziaria che ha inaridito l’economia mondiale.
Uno dei fattori analizzati è il reddito, se si osserva l’andamento del reddito delle famiglie italiane monitorato dalla Banca D’Italia, dal 2006 crescono solo i redditi delle persone con più di 55 anni, mentre i flussi di reddito dei trentenni sono praticamente precipitati, addirittura del 76%, fino a diventare di fatto una generazione senza reddito.
L’unico fattore di redistribuzione è costituito dall’aiuto dell’over 55 (padre o nonno) al figlio o nipote senza reddito. Siamo sicuri che una sforbiciata alle pensioni (altrimenti detta contributo di solidarietà) dei nonni arrivi direttamente nelle tasche dei nipoti o piuttosto non serva ad alimentare una spesa pubblica che non vuole saperne di mettersi a dieta?