In ricordo di Angelo John Taiani (1923-2018), illustre italo-americano di origini vietresi.

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dal nostro lettore Giuseppe Schiavone riceviamo e pubblichiamo
Cari amici,

alla fine di agosto vi avevo dato notizia della scomparsa, alle soglie del suo  95° compleanno, dell’italo-americano Angelo John Taiani (1923-2018), cugino di mia madre, Loffredo Giulia Rossana, residente a Vietri sul mare, paese di nascita dello stesso Angelo.

 

Vi trasmetto adesso il suo necrologio ufficiale che ci è stato inviato da suo figlio Mark, insieme ad una breve lettera di ringraziamenti con una foto della messa funebre.

7 – In Loving memory of Angelo John Taiani (1923-2018)

In ricordo di Angelo John Taiani _1923-2018_

Ho tradotto in italiano l’obituary di Angelo a vostro beneficio per mettere in evidenza l’unicità della sua vicenda umana. L’obituary è un genere   giornalistico-letterario tipicamente americano, estremamente democratico: ad ogni cittadino scomparso, per quanto miserrima e miserabile sia stata la sua vita,  il giornale locale dedica almeno un trafiletto in sua imperitura memoria – oggi, grazie ad internet, esistono siti specializzati che soddisfano tutti i tipi di clientela e di esigenze commemorative…a ciascun essere umano sono oggi assicurati i famosi 5 minuti di celebrità pronosticati da Andy Warhol. L’obituary è un tipo di pubblicistica difficilmente paragonabile con la nostra tradizione – europea e cattolica in particolare – del “necrologio pubblico”,  in cui – com’è noto – “tutti i salmi finiscono in gloria” (qui da noi del defunto non si può che dir bene, guai a parlar male del defunto, ad azzardare la purché minima critica si rischierebbe il linciaggio). Per non parlar poi dell’imbarazzante e censurabile pratica dell’applauso finale alle esequie.

Nella tradizione culturale americana, invece, l’obituary è una sorta di “eulogia” (si badi bene, non un panegirico), ovvero una pubblica e laica “celebrazione” dello scomparso, una mini-biografia in cui si tirano le somme, si fa un bilancio millimetrico, dettagliato, dei suoi traguardi, terreni e non, materiali e spirituali, dei meriti e dei demeriti, senza nascondere nulla, allo scopo di evidenziare il lascito, le tracce concrete che la vita di una determinata persona ha lasciato durante il suo passaggio terreno.  Per cui si evidenziano in primo luogo aspetti decisivi come il background familiare, gli studi, il lavoro, la famiglia, e, nel caso di grandi personalità, si elencano puntigliosamente i risultati ottenuti nella ricerca scientifica, in campo culturale o sociale, ecc., in pratica il ruolo (insostituibile) avuto all’interno della propria comunità, senza tacer nulla, neanche le cause della morte (su cui, invece, molto spesso qui da noi si stende un velo d’ipocrisia: parlare della morte nella nostra società iper-competitiva e votata al successo perenne è un vero e proprio tabù, come dimostra la recente vicenda della misteriosa malattia, passione e morte di Sergio Marchionne, la cui salma c’è mancato poco che vedessimo esposta sull’Altare della Patria a Roma…).

 

Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio la lettura di un interessante saggio del professor Franco Moretti (mio ex docente all’Università) in cui ha analizzato il particolare valore dell’obituary all’interno della cultura americana, rivelandone aspetti inattesi (>>>> Franco Moretti, “New York Times Obituaries”, in “New Left Review”, issue 2, May-June 2000, pp. 104-108). [1] https://newleftreview.org/II/2/franco-moretti-new-york-times-obituaries (you must register to download the essay – è necessario abbonarsi alla rivista on-line per effettuare il download del saggio).

Vi invito, quindi, a leggere il necrologio di Angelo J. Taiani tenendo conto delle differenze culturali tra noi e i nostri cugini d’oltreoceano. Vi apparirà come una sorta di mini-curriculum vitae, in cui sono elencati le tappe essenziali del suo percorso di vita, in cui – come è stato evidenziato in nota – ciò che conta è solo quello che è stato realizzato, portato a termine, segno inequivocabile di una cultura, quella americana, votata al risultato, pragmatica, priva di fronzoli e retorica, del tutto secolarizzata. Anche il rapporto con la religione da parte di Angelo dev’essere visto in quest’ottica. Il suo legame con la religione cattolica è un segno della sua profonda identità di italo-americano, una fede vissuta all’insegna dell’impegno concreto all’interno della propria comunità (si noti il riferimento al suo ruolo di socio fondatore della “Chiesa Cattolica del Nostro Salvatore” a Cocoa Beach). Non meno significativa la breve citazione finale di un celebre passo della Genesi, scelto non tanto per il suo contenuto religioso – il Dio creatore e pantocratore – quanto per alludere al fascino per la vastità del cosmo, per il mistero del tempo e dello spazio, su cui Angelo Taiani, pioniere della corsa nello spazio, avrà senz’altro avuto modo di meditare. Ancora una volta la prospettiva non è tanto metafisica, ma di tipo filosofico-conoscitiva, riflette  lo sforzo immane dell’uomo per capire sé stesso e il proprio ruolo all’interno dell’universo, per penetrare i misteri dell’essere e della propria esistenza.

 

Tornando invece alla vicenda umana di Angelo J. Taiani, avendolo io conosciuto e frequentato, sia pure per brevi periodi a partire dagli anni ’70, bisogna sottolineare il culto religioso (calvinistico più che cattolico) del lavoro che l’ha contraddistinto. A questo proposito voglio ricordare un piccolo aneddoto, che Angelo ebbe modo di raccontarmi personalmente e di cui andava molto orgoglioso, pur senza darlo a vedere (“To be very proud of oneself” è un altro aspetto chiave della cultura americana, su cui ha scritto pagine memorabili lo studioso-americanista Francesco Dragosei nel suo seminale studio “Lo squalo e il grattacielo”, 2002, pp. 155 e seguenti).

 

Ecco l’episodio:  nel 1989 Angelo Taiani, che all’epoca lavorava come addetto alle pubbliche relazioni al KSC (Kennedy Space Center), fece da guida al noto giornalista del “Corriere della Sera” Giovanni Caprara durante la visita di quest’ultimo alla base spaziale in Florida. Il giornalista scrisse un pezzo per il giornale, “La vita nel porto della Luna” (qui allegato), in cui racconta per sommi capi l’incontro con Angelo, da lui definito testimone vivente non solo dell’epopea spaziale americana (dai suoi primordi) ma anche di quella, più drammatica, dei milioni d’italiani emigrati in America tra le due guerre. Angelo Taiani era tra i pochi, ultimi sopravvissuti di quell’epoca.

 

Ecco il punto nodale, cruciale, decisivo della vita di Angelo Taiani. Nato in una famiglia di umili origini italiane, ha dovuto lottare duramente per emanciparsi dalla sua condizione sociale di povertà e di marginalità riservata ai nostri connazionali negli Stati Uniti nei turbolenti anni ‘30-40, anni di crisi economica, sociale e politica. Superata questa difficile fase, da lui sperimentata nell’età della prima adolescenza, marchiandolo a fuoco, e grazie al fondamentale aiuto di un’istituzione importante come il Saint Vincent College di Latrobe, gestito dall’ordine dei monaci benedettini, Angelo ha avuto modo di farsi largo nella vita e, quasi una sorta di “Forrest Gump” ante litteram (ma senza l’imbarazzante ingenuità  e l’inconsistenza valoriale del personaggio cinematografico), ha avuto la fortuna di attraversare l’intera storia americana, se non da protagonista, quanto meno da comprimario (basta leggere i tanti personaggi celebri da lui incontrati e che elenca alla fine del suo CV del 1993, purtroppo non citati nel “necrologio” ufficiale).

 

Per concludere, è grazie al suo incessante lavoro ed a quello di milioni di altri immigrati provenienti da tutto il mondo che gli Stati Uniti sono diventati la grande nazione che sono ancora oggi. Una lezione importante questa che vale la pena ricordare ai tanti fanatici sostenitori del reazionario Donald Trump, che vorrebbe riportare il paese indietro nel tempo, per fare di nuovo grande l’America, cosa che invece è stato possibile solo grazie all’apporto insostituibile di uomini tenaci e battaglieri come il nostro Angelo, che hanno conquistato a viva forza un posto nel cuore della nazione americana, quella da noi tutti amata – inclusiva, democratica, multietnica, progressista e pacifista.

 

“Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato”

(William Faulkner)

 

cordiali saluti

da Giuseppe (Peppe) Schiavone

 

 

Post scriptum:

 

Fra le altre cose, Angelo J. Taiani era fortemente legato al suo paese natale, Vietri sul mare, che ha visitato a più riprese – da solo o con i suoi familiari – nel corso degli anni (1971, 1972, 1976, 1981, 1984, 1988, 1992, 1999, 2009), tanto da meritarsi la nomina a socio onorario da parte dell’Associazione di promozione turistica Pro Loco di Vietri sul mare (novembre 2009), insieme a quella di socio onorario del Centro Studi per l’emigrazione “Pascal D’Angelo” (con sede a Mercato San Severino, Salerno) per le sue imprese di emigrante italiano. Angelo è stato quello che si potrebbe definire un “globe-trotter”, un giramondo (Di lui – di statura medio-bassa – si potrebbe dire quello che si diceva di Marco Polo: “Tanto piccolo, tanto volo”), ma puntualmente ritornava alla sua amata Vietri e dai suoi familiari italiani (è imparentato con le famiglie Loffredo-Massimino, D’Andria, Tesauro-Sferra), che gli ricordavano i suoi cari genitori, Giovannina e Raffaele. All’ingresso della sua villetta in Florida – che ho avuto modo di visitare nell’estate del 1993 (ho le prove, l’ho fotografata in lungo e in largo)  –  sono esposti dei bellissimi pannelli in ceramica artistica vietrese, con i paesaggi tipici della Costiera amalfitana – un souvenir delle sue trasferte in Italia che mostrava con orgoglio ai suoi ospiti. Si può dire che Angelo sia stato un ambasciatore di Vietri negli USA e nel mondo, e dunque la nomina di socio onorario della Pro Loco vietrese fu ben meritata. A quando anche quella di “cittadino onorario alla memoria”, come è stato fatto di recente per l’altrettanto benemerito Pietro Dohrn? Sempre meglio che omaggiare l’arrembante, roboante, mediatico, Antonio Tajani che, pur appartenendo alla stessa famiglia di Angelo, a Vietri non c’era mai stato! Manterrà poi le sue tante promesse per la rinascita del nostro territorio, distrutto da anni di pseudo-centrosinistra? Ne dubito fortemente. Lo sapremo dopo le prossime elezioni europee. A quel punto varrà la pena citare il famoso proverbio vietrese: “Passato o’ sante, passate ‘a festa!”. I detti popolari non falliscono mai.

 

Giuseppe Schiavone