Dalle «Memorie» dello stesso Garibaldi, apprendiamo che si conobbero e si amarono quasi simultaneamente, benché ella fosse maritata a tal Manuel Duarte di Aguiar. Leggiamone un breve stralcio: «Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l’uno dell’altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza». E poi: «Tu devi essere mia». E ancora: «Avevo stretto un nodo, sancito una sentenza che la sola morte poteva infrangere. Io avevo incontrato un proibito tesoro, ma pure un tesoro di gran prezzo. Se vi fu colpa io l’ebbi intera. E vi fu colpa. Si rannodavano due cuori con amore immenso, e si infrangeva l’esistenza di un innocente». Anita Garibaldi morì, dunque, su questa terra, che è piena di limiti contingenti e pratici, ma vivrà per sempre nelle pagine gloriose della storia di cui fu protagonista. Intanto la storia cammina: gli uomini agiscono sulla spinta dei loro impulsi e della loro razionalità. Con la storia sì evolve la società, la moda, si etichetta la donna del momento, finché, nell’Italia dell‘800, l’emancipazione femminile assume le caratteristiche di un movimento vero e proprio. Nasce la rivista «La donna», battagliera e indomita, che si espande in tutta Italia, dove, però, l’ignoranza è enorme. Si auspica da tutte le parti l’istruzione obbligatoria, con la fondazione di scuole elementari. Erminia Fuà Fusinato, adesso, si batte per ottenere di più e fonda la Società per l’istruzione superiore della donna. Dopo di lei altre donne ingaggiano la stessa lotta e danno il loro generoso contributo: Adele Woen dirige la rivista «Aurora»; Adelaide Beccari dirige «la donna»; Caterina Pigerini Ben scrive una coraggiosa lettera al Ministro della Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini, sottolineando il valore autentico dei «Grandi principi» da lui affermati. Influisce sul movimento femminista italiano, coi suoi scritti, la socialista russa Anna Kulisciov, la quale fonda il periodico «Cronache femminili» e scrive un articolo che fa molto chiasso: «Il monopolio degli uomini». In Eunopa e in America si costituiscono eserciti di donne, decise a combattere per il loro riscatto dal giogo maschile e per la codificazione dei loro diritti. Il «sesso forte» viene attaccato da tutte le parti, di volta in volta sorpreso, deluso, amareggiato, ma convintissimo di essere, per il presente e il futuro, sempre il più forte. Le donne, sull’ideale barricata, sorridono di soddisfazione; sperano che un giorno butteranno a terra il «colosso»; sanno con certezza che almeno saranno alla pari nella società dei diritti e dei doveri. E, finalmente, ecco una donna che decide di fare un lavoro da uomo, in mezzo agli altri uomini: Matilde Serao. E una semplice telegrafista, impiegata presso gli uffici delle Poste e telegrafi di Napoli, ma ha tante di quelle idee in testa da sembrare un vulcano. Non bella, ma molto espressiva e molto emotiva; parla con vivacità inesauribile e prorompe spesso in una risata squillante, incontrollata. Suscita simpatia per quella immediatezza di parola e di sentimento che la fa apparire subito «napoletana». Comincia a scrivere articoli e racconti per il «Piccolo» e per il «Corriere del Mattino». Sta calcando una strada non usa alle donne; non sa dove arriverà, ma sa che arriverà, forte solo della sua energia, della sua tenacia. Un giorno lascia Napoli e va a Roma, avventurosamente, come si andava a cercar l’oro in America. Desidera solo scrivere è non sa ancora che sta aprendo alle donne italiane la strada del giornalismo! A Roma fioriscono due periodici: «Capitan Fracassa» e «Guerrin Meschino». Matilde si rivolge alla direzione del primo, dove quello spirito arguto e intelligente che fu Luigi Arnaldo Vassallo, l’accoglie in redazione, portando nella Stampa una novità rivoluzionaria.
(settima puntata)