Il «Sesso debole» (quinta puntata)

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La donna spagnola, pur non mancando di fascino, ha atteggiamenti diversi da quella francese. La prima immagine che abbiamo di lei è quella di una donna riservata, chiusa fra le pareti di casa ad aspettare il suo focoso e gelosissimo uomo. Il suo eroe, quello del sogno, è sempre un giovane ardente, passionale, cavaliere seguace del grande Cid Campeador, desideroso di ottenere la vittoria o la morte sul campo, od anche di uccidere il rivale in duello. E appunto nella Spagna «caliente» che nasce il duello. La spagnola è forse la più femminile delle donne, per l’assuefazione atavica ad una condizione di prigionia amorosa che, lungi dal farla soffrire, le dà il senso pieno dell’importanza ch’ella rappresenta per l’uomo. Lungo un buon arco di tempo, vediamo la spagnola acquisire maggiore maturità ed esperienza, finché nel secolo XVI, benché in un periodo travagliato da profondi contrasti, scatenati dalle lotte religiose, comincia a curare se stessa con una insolita ricercatezza; dà e riceve amore con maggiore disinvoltura, fino a diventare un vero e proprio simbolo di piacere. A lei si deve «il tutto nero» del vestire, che non voleva significare sempre il lutto per qualche caro defunto, ma un vestire elegante, misterioso, particolarmente eccitante.

Come tutte le donne d’Europa, anch’ella, oggi, guarda al futuro come la conquistatrice dei propri diritti. E veniamo finalmente alla donna italiana del periodo dei Comuni, vale a dire del Medioevo. Ella rappresenta il simbolo della femminilità, tanto è istintivamente disinvolta, flessuosa, ricca di grazia e di fascino. Anche le vesti hanno un taglio elegante, aderente al busto e alla vita, per slargarsi in basso, formando una piccola coda. Conosce la «sottana», a cui si sovrappone la «socca», mantello di lino e seta; esercita la sua eleganza e la sua bellezza tra una varietà incredibile di oggetti ornamentali, e belletti, ciprie, panni pregiati, portati dai Crociati di ritorno dall’Oriente. Perseverante ed incontrollata, nonostante i severi divieti imposti dalla Chiesa agli eccessi della moda femminile, l’italiana si pervade di fragranze profumate e gode della carezza morbida, suadente e splendente della cipria. Nel Rinascimento la donna italiana diventa ancora più raffinata, sensibile ad ogni forma di bellezza, che la tiri irresistibilmente ad ideare e desiderare sfarzo di ambienti, di vesti e di gioielli. E’, questa, la donna più appariscente della storia femminina, per bellezza, capriccio, arte e passione mista di idealismo, che ha ispirato non pochi artisti di sommo valore.

Ma la donna italiana è, senza fare torto alle altre, soprattutto veneziana, fiorentina, milanese, bolognese.

La veneziana si inserisce nella cornice fiabesca del paesaggio e dell’ambiente, assumendo in pieno i segni del fasto che la circonda. E’ in lei così innato il senso del bello che ricerca ed ama solo oggetti preziosi, artistici, splendenti. Nel secolo XIII, che segna il massimo fulgore della potenza e della ricchezza di Venezia, le navi portano a casa, rientrando dall’Oriente, broccati, velluti, tessuti preziosissimi che, nelle mani degli abili artigiani, diventano autentiche opere d’arte. Per bontà della Serenissima, le veneziane possono sfoggiare, uniche nel mondo, vesti di «zendado» e di «tabì», che, secondo il taglio del modello, prendono i nomi di «cultellate», «listate», «litterate», «uccellate». Ed infine, catene di «zenzer», «peroli» (bottoni a forma di pera), «passeti» di oro e di argento, perle intrecciate nei capelli, con spreco inammissibile, smuovono la serenità del Gran Consiglio, che emana leggi più restrittive nel settore della moda femminile.

La fiorentina vive ormai con libertà, in una espansione gioiosa di se stessa, ch’è amore per la vita. Non è più ravvisabile in lei quella semplicità di costumi, rimpianta anche da Dante, nella «Divina Commedia». Ora è proprio giunto Sardanapalo a «mostrar ciò che in camera si puote», tanto la vita è diventata più spensierata e spavalda. La donna fiorentina è elegante, spigliata, appassionata in amore, ma anche buona lavoratrice in una città ricca che può permettere tutto. Le donne in vista portano la «gomurra» e la «zimarra», capi di estrema eleganza, finché non arriva dalla Francia l’ultimo grido della moda: «la cipriana», una veste che modella il corpo richiudendosi dalle spalle e scivolando morbida lungo le gambe. Gli ornamenti, poi, sono di una tale preziosità che il Papa, nel 1275, vi oppone una severa censura. Ma poco obbedisce la donna a leggi pudiche, quando ha scoperto il piacere di essere bella ed il gusto della originalità, che conferisce stimoli fortissimi al capriccio dì una moda che sì giova dei profumi da sogno, venuti dall’Oriente e di raffinatissimi unguenti e belletti. Si pensi che la più modesta fiorentina usava quotidianamente molti pettini, due specchi e sei ampolle di profumi diversi. Oggi? Lavora, si occupa della famiglia e marcia sicura verso l’avvenire. La milanese ostenta un comportamento meno capriccioso, quasi austero: ama il lusso, ma non le frivolezze.

(quinta puntata)