Il Cilento e l’identità alimentare

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di Pasquale Martucci

La società attuale è complessa per le evidenti e rapide evoluzioni che non lasciano spazio a forme identitarie consolidate. Nell’ambito di quella chiamata da Bauman società liquida, con la decomposizione dei confini e dei riferimenti sociali, occorre agire e muoversi per cogliere il cambiamento che non può fare a meno di partire dal passato, ricco di storia e cultura. Per cui, senza fare i conti con le risorse e le ricchezze dei territori, non è possibile affermare la cultura, materiale e immateriale, che getta le stesse basi per i mutamenti sociali.

L’area che oggi costituisce il Cilento e il Vallo di Diano è stata caratterizzata da un’identità, che abbiamo definito cilentanità. Essa ha permesso l’aggregazione della popolazione intorno a valori e aspetti di vita semplici e immediati, legati ad un’esistenza comunitaria. Dalle ricerche territoriali, si è riscontrato che le comunità di questa zona sono simili alle società contadine, fondate su legami familiari organizzati sul modello agricolo, fonte primaria di sussistenza. Attraverso un rapporto stretto con i prodotti della terra e il lavoro quotidiano, oltre naturalmente alle varie costruzioni storiche, sociali e culturali e ai sistemi di organizzazione e regolamentazione sociale, si sono diffuse le principali caratteristiche identitarie, riconducibili a: atteggiamenti e abitudini (di vita); adattamento (nel rapporto con l’ambiente); appartenenza e attaccamento (ai luoghi e alle persone); subalternità (al potere); accoglienza e disponibilità (nei confronti dell’ospite). (1)

Partendo da ciò, si è data una definizione del termine identità/cilentanità: “un valore collettivo che si è prodotto, in un territorio caratterizzato da un forte isolamento geografico, mediante il confronto continuo della comunità con se stessa, con la natura, con l’ambiente, con il territorio e che si è definito grazie ad un sistema comune di regole e di pratiche di vita”. (2)

La dura quotidianità e la vita di lavoro e fatica, associate alla situazione climatica e geomorfologica del territorio, hanno permesso ai prodotti di questa terra di acquisire una propria tipicità: si tratta di risorse alla base della diffusissima dieta mediterranea, dichiarata dall’Unesco “Patrimonio orale e immateriale dell’umanità”, che per Ancel Keys determinava una bassa incidenza di malattie cardiovascolari grazie ad un cibo povero di grassi e proteine: cereali, patate, legumi, pesce, formaggi, frutta, olio d’oliva e vino. (3)

C’è da dire che le popolazioni di quest’area si sono alimentate dei prodotti tradizionali della terra: se da un lato non si sono mai verificate estreme punte di indigenza, dall’altro non ci sono state le prelibatezze della cucina aristocratica, le tavole imbandite di abbondanti cibi, spezie e sapori forti. Per fare un esempio, in queste zone nell’ottocento il pane era di frumento tra i benestanti, il ceto medio lo univa al granturco e la gente più umile faceva uso del pane di granone, germano, legumi e castagne. Per quanto riguarda la carne, quella vaccina era rara mentre più diffusa era quella di pecora, di capra e, nei mesi invernali, di maiale. Il pesce giunse tardi, ed era rappresentato soprattutto da acciughe e sarde. I vini e gli oli erano ottimi ed abbondanti; la frutta era molto diffusa, soprattutto i fichi dal sapore eccelso. La dieta quotidiana al tempo di Keys era costituita da erbe bollite, per metà soffritte, con poco olio e grasso. Erano soprattutto usati prodotti freschi, di stagione e coltivazioni locali. (4)

I piatti e le tradizioni culinarie, che si sono affermati grazie all’utilizzo di questi prodotti, oggi sono un patrimonio che si cerca di riproporre e rivalutare per introdurre un concetto oggi molto di moda: quello di sovranità alimentare. Se esso è inteso da alcuni come una sorta di identità chiusa, definita, statica, che serve per la realizzazione di un “nazionalismo enogastronomico”, al contrario, l’identità, concetto legato alla cultura di un luogo, è diversità, evoluzione. Essa si connette alla salvaguardia di una certa tipicità, come ha sempre sostenuto Carlin Petrini, per rimarcare il valore dei prodotti protetti, orgoglio di piccoli produttori e piccoli centri rurali, riferendosi al recupero della stagionalità e al rapporto tipicità identitaria/produzione globale. In tal senso, è anche la rivalutazione dei saperi diversi che, partendo dalla terra, producono e inventano beni comuni, rilevando che la sovranità alimentare è da intendere come la libertà dei singoli territori di scegliere cosa e come coltivare e mangiare. (5)

Petrini ha rilevato che la comunità è la forma aggregativa più antica della storia ed è fortemente radicata sul territorio dove è distribuita la popolazione che ne fa parte. Per questo è necessario individuare cooperazione e solidarietà, in quanto le risorse territoriali rappresentano la possibilità di un percorso comune in cui si pratica la reciprocità. Si tratta di singole individualità che si legano ad un luogo, dove la vera forza si ottiene quando gli interessi individuali si sviluppano nell’unione e nel benessere di tutti. Nella comunità la partecipazione si pratica con la presenza e con l’impegno, e le progettualità nascono dalla cooperazione e dal confronto. (6)

Inoltre, si può certamente affermare che nel rapporto con il cibo si scopre anche un modello relazionale: è un elemento tangibile della continua relazione che mette in connessione la natura umana nella sua dimensione individuale e collettiva. Ed infatti, a tavola si instaura un rapporto di convivialità, coesistenza, condivisione. Dire che il cibo è cultura, significa proprio affermare una corrispondenza di scambi, perché la cultura permette di mutare ciò che potrebbe sembrare qualcosa di acquisito e definitivo. (7)

In conclusione, occorre ripensare l’identità come affermazione della tipicità locale ma anche scambio con altre realtà che racchiudono le loro specificità, per favorire un atteggiamento non inglobante, ma aperto e accogliente. A tal proposito, è da sostenere che la cultura locale non deve essere trascurata, soprattutto perché il Cilento ha le risorse per la sua affermazione e il suo sviluppo anche nelle società in rapido cambiamento.

 

Note:

  1. P. Martucci, A. Di Rienzo, “Identità cilentana e cultura popolare”, CI.RI Cilento Ricerche, 1997.
  2. A. Musacchio, Prefazione, in “Identità cilentana e cultura popolare”, cit.
  3. A. Keys, M. Keys, “Mangiar bene e stare bene (con la dieta mediterranea)” – edizione multilingue, Piccin-Nuova Libraria, 2009, 1975.
  4. Sull’evoluzione del cibo nella storia, cfr.: M. Montanari, “La fame e l’abbondanza”, Laterza 2000, or. 1993.
  5. Cfr.: “Il cibo e l’impegno”, Slow Food Italia e Università delle Scienze gastronomiche di Pollenzo, in: MicroMega, n. 5/2022.
  6. C. Petrini, “Il gusto dell’impegno, in MicroMega, cit.
  7. P. Martucci, “Il cibo e la relazione identitaria”, rivista online: Le Sociologie, http://www.lesociologie.it/, 27 ottobre 2022.