Il Cilento delle Ninfe e delle Sirene, le leggende di Leucosia e Kamaraton.

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di Myriam Guglielmetti

Quando viene citata una delle splendide località del Cilento, molto spesso ci si ritrova a riflettere sulle sue bellezze paesaggistiche, sulle romantiche rovine di città greche ormai perdute o sul boom turistico che, annualmente, interessa le assolate spiagge della zona.
Ciò che molti ignorano è la storia legata al mito e alle leggende che, di generazione in generazione, vengono tramandate al fine di tener viva una tradizione popolare che perdura da secoli.
I nomi assegnati a famosi promontori o a pacifici isolotti di questo lembo del Mediterraneo sono infatti spesso legati alle mitiche vicende di creature simil – fiabesche, come sirene, ninfe, divinità o mostruosità, insomma personaggi di spicco nelle avventure omeriche e virgiliane.
Proprio alla più grande fatica letteraria del poeta latino Virgilio fa riferimento il mito di Palinuro e Kamaratòn, due nomi che suonano più che familiari agli amanti della costiera cilentana.
La leggenda narra di una bellissima ninfa, Kamaratòn, che nuotava indisturbata nelle tiepide acque antistanti le bianche spiagge pluripremiate dell’attuale Marina di Camerota.
Il fato volle che Palinuro, nocchiero del più celebre Enea, incontrando quest’amabile figura lungo il suo cammino, se ne innamorasse perdutamente.
Purtroppo la ninfa, non ricambiando il sentimento puro che nei confronti di ella era maturato, lo respinse con spietata freddezza.
Una storia senza lieto fine, dunque, ma che incontra due diversi finali, entrambi condivisibili secondo la tradizione. Una prima versione afferma che il dolore troppo grande sofferto da Palinuro, dopo esser stato respinto, lo portò ad invocare il dio del sonno, Morfeo, nella speranza di alleviare con il riposo le proprie pene.
Ma il dono soporifero della divinità portò il triste marinaio ad annegare, proprio nel punto in cui oggi sorge Capo Palinuro.
La seconda versione, invece, pur narrando similmente di un naufragio per colpa  di Morfeo, continua asserendo che il nocchiero, dopo giorni in balìa delle onde, si arenò sulla spiaggia. Qui il popolo indigeno locale lo scambiò per un mostro marino, uccidendolo selvaggiamente.
Un destino crudele quello  abbattutosi su Palinuro.
Tuttavia anche alla sua amata Kamaraton toccò una sorte tutt’altro che felice: colpevole, secondo la dea Venere, di non aver mostrato buon cuore nei confronti di un povero innamorato, la ninfa venne tramutata in collina, la medesima su cui oggi poggiano le fondamenta del comune camerotano.
Narrazioni mitiche che donano a due posti da sogno una marcia in più e ne arricchiscono la già nota bellezza.
Di pari interesse è poi un altro racconto: quello della sirena Leucosia, anch’esso tratto dalle pagine della letteratura antica.
Leucosia, Ligea e Partenope erano le tre sirene che abitavano gli scogli e le insenature del golfo di Salerno. Le tre semi-donne costituivano un pericolo per i lupi di mare che malauguratamente si trovavano ad attraversare le loro acque: il canto magico li avrebbe tratti in inganno, facendo loro perdere il controllo della nave e portandoli all’annegamento.
Secondo il poeta ellenico Licofrone, furono proprio le tre sorelle ad operare  quando lo sventurato Ulisse riuscì a resistere al loro incanto musicale: la resistenza dell’eroe di Omero e del suo equipaggio le costrinse al suicidio.
Le spoglie  di Leucosia furono trasportate dalla corrente fino all’attuale golfo di Paestum e battezzarono così il celebre promontorio di Punta Licosa.
L’attaccamento della popolazione locale alle sue fantastiche origini è tale che, durante la stagione estiva, si svolgono manifestazioni rievocative come i famosi “concerti sull’acqua” di Santa Maria di Castellabate: qui, in uno dei paesi più noti del Sud campano, si svolge questa celebrazione musicale dedicata alla sirena suicida.
A Palinuro, invece, orde di turisti invadono le imbarcazioni per far visita proprio al Capo battezzato dallo sventurato nocchiero nato dalla penna di Virgilio, mostrandosi più che affascinati dalle meraviglie non visibili, seppur sapientemente tramandate, del posto.
Messe da parte le bandiere blu, il Cilento può dunque vantare ben altre doti: prima fra tutte, quella di essere il locus amoenus in cui rivive l’ancestrale potere del mito ellenico.