“Nella seconda metà del ‘700, Wolfgang Goethe sosteneva che “Il Carnevale non è una festa che si offre al popolo, ma una festa che il popolo offre a se stesso”. In tre parole: “È ‘o popolo che ‘o vo‘ ”. A raccontare, con professionalità e ironia, l’antica storia del Carnevale, ricordando i Saturnali dell’antica Roma e le Dionisiache greche, è stato il giornalista, scrittore e studioso di storia locale Geppino D’Amico, Past President del “Rotary Club Sala Consilina”, attuale formatore distrettuale del “Distretto Rotary 2101”, presieduto dal Governatore Alessandro Castagnaro, durante la conviviale rotariana “Carnevale: quattro ‘chiacchiere’ tra amici…” organizzata al “Circolo Canottieri Irno” dal “Rotary Club Salerno” presieduta dal Cavalier Tony Ardito. Il dottor D’Amico ha ricordato le tradizioni del Carnevale: ” Nel corso del tempo sono mutate perché hanno dovuto cedere qualcosa al consumismo; ne sono state contaminate ma, almeno nel Mezzogiorno, hanno conservato il senso delle tradizioni e della tutela”. D’Amico ha raccontato nei dettagli il carnevale di Satriano di Lucania, il paese dei 131 murales:” Nel piccolo centro della Basilicata, il Carnevale si distingue per l’evento de “La Foresta che cammina”. Il sabato e la domenica che precedono il Carnevale si riuniscono ben 131 uomini-albero, uno per ogni paese della regione. La maschera tipica è il Rumita (eremita), un uomo rivestito di edera con un bastone decorato da un ramo di pungitopo. Secondo la tradizione i Rumita escono dal bosco aggirandosi tra le case del paese per portare un messaggio di buon auspicio: la primavera sta arrivando e porterà il risveglio della natura”.
Emblema del Carnevale è la maschera:” E’ uno dei motivi più complessi e ricchi di significato della cultura popolare: indossare la maschera era un modo di uscire dal quotidiano, disfarsi del proprio ruolo sociale e negare se stessi per diventare altro”. D’Amico ha raccontato che la sera del Carnevale in segno di lutto si appendeva un panno nero che annunciava l’arrivo della Quaresima:” Resiste ancora in alcuni paesi la simpatica usanza di “fare la Quarajésema“, cioè costruire una bambola di stoffa dalle sembianze di una vecchia e appenderla a una finestra, subito dopo che si è sciolto il corteo di Carnevale. Ha le stesse caratteristiche della maschera e in più le viene attaccata sul posteriore un’arancia, sulla quale vengono infilzate sette penne di gallina, che vengono poi tolte e bruciate una per ogni venerdì. Il Venerdì Santo anche “Quarajésema” veniva bruciata con l’ultima penna e l’arancia”. D’Amico ha parlato anche del cibo principe legato al Carnevale:” Le lasagne, che hanno origini incerte. E’ innegabile l’importanza che esse hanno avuto ed hanno sulle tavole di tutta la Campania, insieme alle immancabili polpette. Ferdinando II di Borbone venne nominato “Re Lasagna”. D’Amico ha anche raccontato di quando a Carnevale si mangiava il sanguinaccio:” Quello autentico, nella pura tradizione meridionale, era preparato col sangue suino. Dal 1992 in molte regioni d’Italia, è stata vietata la vendita del sangue di maiale”. D’Amico non poteva non ricordare la bontà delle chiacchiere “Vengono chiamate con nomi differenti a seconda delle regioni. L’origine risalirebbe all’antica Roma, quando per festeggiare i Saturnali si preparavano dolci a base di uova e farina chiamati “frictilia”, perché venivano fritti nello strutto. C’è chi attribuisce la paternità delle chiacchiere a un cuoco napoletano, Raffaele Esposito, che le avrebbe preparate per la Regina Margherita di Savoia durante un pomeriggio di “chiacchiere” con le dame di compagnia. Da qui il proverbio “Chiacchiere fai, acqua bevi”. Un altro dolce tipico di Carnevale è il Migliaccio:” Si prepara, di solito, il martedì grasso ed è diffuso in tutta la Campania. Le sue origini sono legate al medioevo e la parola “miliaccium” significa pane di miglio”. Alla serata ha partecipato il dottore salernitano Luca Barretta, Presidente Eletto per l’anno 2024/25 del “Rotary Club Firenze Sesto Michelangelo”.
Aniello Palumbo