“Il mito del brigante come eroe è un’invenzione della nostra epoca. Il brigantaggio non era popolare, ma era invece altamente impopolare perché il 95% delle vittime dei briganti erano pastori, contadini , braccianti, piccoli imprenditori, piccoli funzionari come sindaci, cancellieri comunali, ufficiali di guardia nazionale, che erano oggetto: o di attività criminali, o di omicidi selettivi di natura politica, o di attività di sequestro. Il brigante era il principale attore di violenza verso quelli che appartenevano alla sua stessa classe sociale”. Un brigante che diventò famoso fu sicuramente Carmine Crocco, spavaldo erede del mondo feudale, che, insieme al generale, Emilio Pallavicini di Priola, baldanzoso aristocratico di spada, fu, nel primo decennio dell’Italia unita, uno tra i protagonisti più conosciuti della guerra per il Mezzogiorno. A raccontare questi due personaggi storici, lontanissimi per origine e formazione, è stato il professor Carmine Pinto, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’ Università degli Studi di Salerno, che, all’Hotel Mediterranea di Salerno, ha presentato il suo nuovo saggio storico “Il Brigante e il Generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola”, edito da “Laterza Editore”, durante l’incontro organizzato dal Rotary Club Salerno Picentia”, presieduto dal dottor Rocco Di Riso, in interclub con i Club Rotary di Campagna ed Eboli presieduti dai dottori Gaetano Pierro e Gianpiero Comite.
Lo storico Pinto ha raccontato le “vite parallele” di Crocco e Pallavicini e, attraverso queste, gli episodi, i luoghi, le battaglie e le leggende, la guerra, fino allo scontro finale e al sorprendente epilogo delle loro esistenze. Attraverso la storia di queste due diverse figure sociali, Pinto ha raccontato la storia del Mezzogiorno, della fine del Regno di Napoli e della costruzione della Nazione Italiana:” In un tempo storico relativamente breve , venti o trent’anni , tra gli anni quaranta e gli anni settanta del diciannovesimo secolo, forze politiche, gruppi intellettuali, militari, uomini di estrazioni sociali e culturali diverse, realizzarono un’operazione incredibile : l’invenzione , la costruzione di uno Stato- Nazione mai esistito”. Crocco e Pallavicini sono due uomini che provengono da due mondi completamente distanti, con opposte aspirazioni sociali: “La figura di Carmine Crocco viene associata, soprattutto negli anni 70, a quella di un brigante che fa una rivolta sociale; Pallavicini, invece, viene messo un po’ in ombra”. Nel libro, che si legge come un romanzo, ma è un saggio storico, Carmine Pinto spiega che “Crocco, che era un pastore lucano, non si sognò mai di proporre rivolte oppure occupazioni di terre demaniali:”Questa rappresentazione leggendaria è frutto di miti e invenzioni pubblicistiche recenti; non è realtà storica. Il Generale Pallavicini è una figura che nel racconto pubblico del Risorgimento passa in secondo piano rispetto a Mazzini e Garibaldi, anche se rappresentò tanto nella lotta al brigantaggio e nella composizione dell’unità nazionale: partecipò a tutte le guerre del Risorgimento. Crocco e Pallavicini costruirono due strategie militari: Carmine Crocco costruì un primo “cartello” criminale della storia; mise insieme 40 bande di briganti per seminare terrore nel Mezzogiorno, facendo seguito al mandato politico ricevuto dai Borbone . Pallavicini costruisce invece una controguerriglia che non rientra tra le tattiche militari consuete ”. Il professor Carmine Pinto ha spiegato che nel libro si racconta di come si faceva la guerra nel XIX secolo :” Crocco rappresenta la cultura della guerra dell’antico regime: l’idea che la violenza non fosse monopolizzata dallo Stato, ma che potesse essere organizzata da attori diversi”. Pinto ha anche chiarito qual è il contesto politico di cui si parla nel saggio storico:” E’ quello della fondazione della Nazione , un momento fondamentale della storia dell’Europa e dell’Italia contemporanea. Il contesto è anche quello del nazionalismo italiano come forza decisiva nella costruzione dello stato italiano”. Lo storico salernitano ha anche spiegato che negli ultimi anni si cerca di dare una rappresentazione vittimistica del Mezzogiorno:” Una rappresentazione che non ha nulla a che vedere con la realtà storica, ma serve a coloro che, facendo del vittimismo la cifra del proprio essere meridionali, ottengono spesso un applauso sul palcoscenico. Io ritengo che il vittimismo sia una delle cose peggiori per chi lo fa, ma soprattutto per il Mezzogiorno. I risentimenti sono un’arma potentissima. Anche in politica i risentimenti sono dei motori potentissimi. Nell’attività sociale i risentimenti sono molto efficaci nel creare identità: sono uno strumento efficace per fare politica nel presente. Questo non ha nulla a che vedere con la realtà storica. Uno dei peggiori vizi del Mezzogiorno è quello di farsi vittima per scaricarsi delle proprie responsabilità”.
Aniello Palumbo