I moti nel Cilento: lo studio di una Rappresentazione Rituale.

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di Pasquale Martucci

 

In alcuni paesi del Cilento, si ricordano i moti del 1828 attraverso rievocazioni storiche di un passato che non deve essere dimenticato. Durante questi eventi vengono rappresentati momenti di vita dell’ottocento, riproponendo le gesta di coloro che hanno cercato di opporsi all’oppressione ed al dominio di nobiltà e clero, con l’auspicio di modificare le misere condizioni di vita. Ed il riferimento è ad una terra alla fame, ad un’epoca in cui “gli umili contadini, in punta di piedi e chiusi nella taciturnità propria di chi è solo con se stesso nella lotta per la sopravvivenza, hanno scritto le pagine più vere e spontanee della storia meridionale”, come sosteneva nei suoi lavori Domenico Chieffallo. (1)

Ripercorrendo gli eventi del 1828, emerge un uomo che contribuì molto alla organizzazione dei moti rivoluzionari: Antonio Maria De Luca, nato a Celle di Bulgheria il 20 ottobre del 1764 e morto a Salerno il 28 luglio 1828. Era un presbitero appartenente alla Congregazione del Santissimo Redentore, forse allievo di Alfonso Maria de’ Liguori. Dopo la laurea in Teologia, si dedicò all’insegnamento presso il Seminario di Policastro Bussentino ed alla predicazione in molte zone del regno di Napoli. Prese parte al dibattito politico e fu deputato al Parlamento napoletano. Si batté in favore dei contadini, nelle nascenti lotte al latifondo, facendo dono delle sue proprietà. L’avventura da parlamentare fu fugace come la Costituzione e la successiva restaurazione della Monarchia. De Luca fu uno dei principali sorvegliati speciali della polizia borbonica. Era il 28 giugno del 1828 quando questa terra, considerata ideale per l’isolamento e la mancanza di vie di comunicazione, prese l’iniziativa “per reclamare dalla monarchia borbonica la concessione della Costituzione”. (2)

I carbonari di Napoli, i Filadelfi, giurarono di combattere e di partire dal Cilento. Oltre a Vallo della Lucania, infatti, nei paesi di Celle di Bulgheria, Montano Antilia, Licusati e Bosco si trovarono i più numerosi rivoltosi con a capo il canonico Antonio Maria De Luca. Altri personaggi si distinsero nell’azione ed altri paesi diedero un grande contributo in termini di uomini.

Il proclama firmato da Nicola Gammarano, Domenico Capozzoli, Antonio Galotti, Antonio De Luca e Pasquale Novelli descrive gli abusi contro il popolo e la condizione di miseria, reclama la Costituzione di Francia ed auspica la diminuzione dei prezzi e l’abolizione dei dazi. L’alba della rivolta è matura per fare giustizia ed un nuovo sole spunta, quello della speranza:

Scetamone, Ciliento, chesta è l’ora! / Sceppamo ‘o core ‘a pietto a lu tiranno / ca ‘nce scarpisa e nun se stanca ancora / re nce levà l’unore e darce affanno. / Scetamone, Ciliento, chesta è l’ora. (3)

Questo accorato grido si diffonde in tutti i paesi: i capi decidono di recarsi a Palinuro per sorprendere il nemico poco numeroso ed impadronirsi di 1500 fucili, munizioni e due cannoni. Il 28 e 29 giugno la rivolta viene accolta da scene di entusiasmo a Camerota, San Giovanni a Piro, Celle di Bulgheria, Bosco. Il 30 si passa per Montano Antilia e De Luca incita il popolo a seguire la rivolta ed incamminarsi verso Vallo della Lucania. Il 1° luglio giunge la notizia che il maresciallo Del Carretto, con pieni poteri, è stato inviato per domare la rivolta. L’esercito è consistente e disperde i rivoltosi verso Cuccaro Vetere e nelle montagne di Novi Velia. La durezza dei vincitori è violenta: arresti, torture, poi le morti. Dopo una breve latitanza, il canonico De Luca fu arrestato, scomunicato dal suo vescovo e fucilato a Salerno il 28 luglio 1828. (4)

In occasione dei moti del 1828 ci fu dunque la sollevazione, ma ad essa seguì la capitolazione. La storia racconta di madri che vedendo i figli dietro le sbarre li consolano:

Oi figli miei, arreto a sti cancedde / Com’ animali int’a nu macello,  / state cuntenti, pecch’è ddoce e bello / murì accisi pe’ la libertà!! / Sta voce ca ve chiama nun è sola,  / so ciento, mille … è tutto lu Ciliento  / ca pe’ sta sciorta cchiù nun trova abbiento,  / ma vuie nce rate forza e dignità  / E ‘mmiezzo Spio vui nun site suli: / rimane nce verit’a tutti quanti,  / c’a morte int’o core e senza chianti, / a coglie ‘o sango vuosto e non scordà! (5)

Le condanne sono per tutti, qualcuno riuscirà a scampare alla morte, ma subirà lunghi anni di dura prigione. Ciò che resta però è una profezia del canonico De Luca che in punto di morte esclamerà: Questo non è stato che un saggio, ciò che oggi è mancato un’altra volta riuscirà. (6)

A Vallo della Lucania, qualche anno fa ho studiato una rievocazione di quegli eventi. (7)

I dati sono stati rilevati, utilizzando un metodo applicato allo studio delle feste, descritte e valutate per sottolineare i motivi ispiratori ed i significati in esse contenuti, realizzato attraverso la ricerca sul campo, utilizzando l’osservazione partecipante, quella che consente l’interazione tra soggetto ed oggetto, che pone in primo piano il ruolo del ricercatore. L’attività di lavoro sul campo è stata quella di intervistare gli informatori, osservare le varie manifestazioni e descriverle. La documentazione è stata reperita su testi realizzati da studiosi locali, su opuscoli e depliants messi a disposizione da Enti ed Istituzioni preposti all’organizzazione delle manifestazioni. Anche il supporto di video ha contribuito a non far perdere la visione d’insieme dell’evento, che da un solo punto di osservazione rischiava di non far cogliere tutte le azioni compiute.

La manifestazione di Vallo della Lucania ricorda i momenti di storia attraverso tre fasi che coincidono con i tre giorni rievocativi: la mostra e la presentazione della rievocazione, il giorno 17; la sfilata in tutto il centro cittadino con oltre duecento figuranti, tutti vestiti in abiti ottocenteschi, dalle 19:00 alle 21:00 del 18; la conclusione della festa con la divulgazione di momenti di storia locale, di video celebrativi e di rappresentazioni teatrali, il 19 luglio. La manifestazione è riproposta ogni anno e permette al numeroso pubblico di conoscere ed apprezzare le antiche gesta dei cilentani, che si distinsero in difesa della loro terra e della loro libertà. Del resto, luglio è il mese in cui in città si realizzano tutti gli eventi folcloristici e culturali: agosto, infatti, è il periodo delle ferie, il momento dell’anno in cui i vallesi abbandonano la città per recarsi o sulla costa cilentana o in posti più lontani. Si inizia con la festa della Madonna delle Grazie (il giorno 2 luglio) e si prosegue con la rievocazione dei moti del 1828 e con l’importante festa religiosa di S. Pantaleo (il 27 del mese).

Il lavoro ha dunque utilizzato metodi integrati per descrivere e classificare l’evento: sulla base poi di tali dati sono stati costruiti alcuni indicatori che hanno consentito di esprimere una valutazione sulle varie manifestazioni. Gli indicatori sono stati: 1- Rilevanza dell’evento (conoscenza da parte del pubblico e pubblicità); 2- Organizzazione (impegno e funzionamento organizzativo); 3- Partecipazione attiva (coinvolgimento degli attori nella festa); 4- Partecipazione passiva (presenza senza essere coinvolti); 5- Contenuti culturali (letteratura, storia, arte presenti nella festa); 6- Rappresentazione scenica (riuscita della drammatizzazione); 7- Comportamenti rituali (espressioni e gesti degli attori sociali); 8- Funzioni rituali (legate alla manifestazione, all’evento); 9- Rilievo economico (eventuale sviluppo economico rispetto all’evento); 10- Condivisione ed adesione (giudizio positivo da parte del pubblico).

Nel caso dei “Moti del 1828”, la conclusione da trarre è che la rappresentazione dell’evento racchiude ottimi contenuti culturali, oltre che una rilevante organizzazione scenica. Si tratta di una manifestazione molto bella per la memoria storica e l’aspetto divulgativo di una “rivoluzione” non conosciuta da tutti. La partecipazione del pubblico conferisce all’evento un notevole rilievo e un interesse che spesso travalica i confini locali per proiettare la manifestazione tra le attrattive del territorio per lo sviluppo di un turismo culturale.

 

Note:

  1. Cfr.: D. Chieffallo, “Un grido dai bassifondi” (1983), “Terra, fucili e bastimenti” (1984), “Cilento: contadini, galantuomini e briganti” (1989).
  2. “Surgite a ‘stu paese bbona gente”, a cura della Pro Loco Gelbison di Vallo della Lucania, testi di L. Ametrano, A.R. Nicoletti, L. Schiavo, canzoni di G. Palladino, Ed. Poligraf, Salerno 1998.
  3. Traduzione: “Svegliamoci, o Cilento, è questa l’ora! / Togliamo il cuore dal petto del tiranno / che ci calpesta e non si stanca ancora / di toglierci l’onore e darci affanno. / Svegliamoci, o Cilento, è questa l’ora!”.
  4. R. Perna, “Cilento e libertà”, a cura di, con testi di G. Liuccio, Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, Vallo della Lucania (SA) 1998.
  5. Traduzione: O miei figli, dietro queste sbarre / come animali dentro un macello, / siate contenti, perché è dolce e bello / morire uccisi per la libertà / Questa voce che vi chiama non è sola / sono cento, mille … è tutto il Cilento / che per questa fortuna non trova più vento, / ma voi le date forza e dignità / E in mezzo a Spio voi non siete soli: / domani ci vedrete tutti quanti, / con la morte nel cuore e senza pianti, / a raccogliere il vostro sangue e a non dimenticare!
  6. “Surgite a ‘stu paese bbona gente”, cit.
  7. Ho realizzato vari lavori sulle feste nel territorio: le ho sudivise in feste religiose e feste non religiose. Rimando ai saggi: “Il sacro e il profano”, Edizioni Studi e Ricerche, 1999; “Le feste ritrovate. Uno studio sociologico sulle feste religiose nel territorio del Cilento e del Vallo di Diano”, Il Postiglione, A. XIII N. 14 – giugno 2001, pp. 211-239; “Memorie rituali. Le feste, le manifestazioni e le rappresentazioni identitarie nelle comunità del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni”, Il Postiglione, Anni XXII-XXIII, numeri: ventitre-ventiquattro – giugno 2011, pp. 271-284.