“I Figli del Male” di Antonio Lanzetta, sabato 26 al Festival del Libro d’Autorre di Paestum.

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«L’uomo con le cicatrici strinse il rasoio tra le dita. Il volto ricoperto dalla schiuma e
lo sguardo fisso nello specchio. Studiò il suo petto nudo, il labirinto di segni che
deturpava la pelle. Veterano di una guerra senza tempo. Per ogni taglio, c’era un
ricordo. I bambini che aveva aiutato se li portava addosso, uno a uno. Granelli di
polvere sui vestiti, l’odore della strada, asfalto bagnato dalla pioggia. I colleghi
all’ASL dicevano che si faceva prendere troppo. Il lavoro doveva essere lavoro, era
l’unica regola da seguire se si voleva restare vivi. Ma cosa ne sapevano loro del buio?
Della sensazione che si provava nel fissare l’oscurità in attesa che le pupille si
adattassero? Cosa accadeva a quelli troppo piccoli per camminare senza luce?»
Il romanzo di Antonio Lanzetta, I figli del male (La Corte Editore) è stato
presentato al recente Festival del Libro a Torino.

Sarà protagonista del terzo appuntamento del Festival del Libro d’Autore a Capaccio, nella storica sede dell’Associazione Agorà dei Liberi, in via Bellelli, sabato 26 maggio, dalle ore 18.

Alla presentazione, oltre l’autore Antonio Lanzetta, ci saranno la Presidente dell’Associazione Agorà dei Liberi Antonia Franco, l’Assessore alla Cultura del Comune di Capaccio Claudio Aprea, lo scrittore Carmine Mari, la giornalista Maria Rosaria Voccia direttore del settimanale on line 7Salerno, Milva Carrozza, operatrice culturale, che coordinerà l’incontro.

L’evento è organizzato da Promozione Eventi Territorio e dall’Associazione Agorà dei Liberi di Capaccio.

Antonio Lanzetta, salernitano, ambienta il suo thriller nella sua città natale, Salerno,con una trama che si dipana tra il presente, il passato del secondo dopoguerra a Castellaccio (paese di invenzione) durante il periodo fascista e la fine degli anni Ottanta a Salerno.

Il protagonista, Damiano Valente, detto Lo Sciacallo, è un detective, storpio a seguito di un incidente, è un uomo pieno di rimpianti, che combatte ogni giorno contro il dolore fisico e quello dell’anima.

Insieme a Damiano e Flavio, seppur in secondo piano, c’è Stefano. I tre erano amici d’infanzia, amici che hanno condiviso un grande dolore e che sono già stati introdotti
nel primo thriller di Lanzetta, Il buio dentro, uscito lo scorso anno sempre per i tipi
di La Corte Editore.

“Ci tengo a precisare che figli del male può anche essere letto indipendentemente dal
primo volume della serie” ha dichiarato l’Autore.

Paragonato a Stephen King, lei propone, con I Figli del Male, un thriller avvincente, che inchioda il lettore alla poltrona.

La sua storia, andando al cuore del problema, ruota su un male antico.
La Vendetta per lei è una soluzione, una catarsi, oppure un cieco istinto?
La vendetta è un istinto che può rendere l’uomo cieco. L’idea di dover per forza
recuperare un torto subito spinge l’uomo a comportamenti anche estremi, e allora
ossessione e bisogno di riscatto corrono lungo binari paralleli. A tal proposito
Nietzsche dice: “E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro
di te.” Un pensiero attuale. Quanto siamo disposti a perdere per vendicarci?
E’ paragonato a Stephen King, per violenza ed ingegno costruttivo. In cosa sente
di essere diverso, quindi autonomo, originale?
Il paragone a Stephen King è insostenibile. Nessun autore può essere paragonato alla
sua grandezza, figuriamoci io, però questo accostamento è arrivato dal The Sunday
Times, che ha menzionato un mio romanzo, Il Buio Dentro, come uno dei cinque
thriller non britannici più interessanti del 2017. Una cosa rara, quando mi ricapiterà di
essere preso in considerazione da un giornale di tale portata internazionale? Stephen
King, in ogni caso, rientra in quella schiera di autori che amo. Al di là delle tematiche
trattate, la sua scrittura rappresenta per me un modello a cui ambire. Una scuola da
cui apprendere, così come quella di altri grandi autori del genere quali Richard
Matheson, Joe R. Lansdale, George R. R. Martin e, facendo un salto nel tempo, Edgar
Allan Poe e Lovecraft. Mi piace l’idea di mistero, il modo in cui l’oscurità penetra la
vita delle persone semplici e le costringe a prove. Io non sono Stephen King, non
potrei mai esserlo, così come non sono nessuno degli autori che ho citato. Mi muovo
con umiltà ma decisione nell’editoria perché i libri sono la mia vita e provo a scrivere
e usare le parole creando storie che hanno l’ambizione di sopravvivere al tempo. Ci
sono libri pubblicati per vendere nel breve tempo più copie possibile. Spesso però
questi libri muoiono. Io cerco di fare il massimo per restare in vita.

Il suo thriller racconta forse quello che tutti quelli che si ritrovano in quelle
situazioni vorrebbero fare e non possono, o non vogliono, o non sono in gradi di
fare.. Pensa a possibili emulazioni? E se si, come si sente a riguardo, pensa di
essere “preparato” mentalmente, emotivamente?
Parlare di violenza e di morte non è lo scopo principale di un romanzo nero, secondo
me, ma solo un mezzo per mostrare la vita. Quello che dovrebbe interessare è la
capacità dei personaggi di cadere e rialzarsi. Una trasposizione delle pagine di un
libro alla vita reale. Il segreto è parlare della vita. Negli ultimi tempi mi sono sorpreso
nel sentire polemiche da parte di persone che, per esempio, puntavano il dito contro
la serie tv di Gomorra per giustificare la violenza minorile e la criminalità a Napoli,
manco questa non esistesse già da prima. È una cosa priva di senso, un po’ come
proibire a un bambino di guardare i film dell’Uomo Ragno per paura che, in un
tentativo di emulazione, si lanci dalla finestra.