Django Reinhardt, all’anagrafe Jean Reinhart, considerato uno dei più virtuosi ed influenti chitarristi jazz di tutti i tempi, nacque due volte: tutte e due le volte in una roulotte; la prima volta quando sua madre lo partorì, il 23 gennaio del 1910, a Liverchies, in Belgio, dove si era accampata la carovana dei suoi genitori di etnia sinti, e una seconda volta quando, all’età di diciotto anni, subì un grave incidente: la roulotte di famiglia fu divorata da un incendio e Django riportò gravi ustioni, tanto da perdere l’uso della gamba destra e di parte della mano sinistra: l’anulare e il mignolo rimasero semi- atrofizzati. A causa di questa menomazione alla mano sinistra, Reinhardt dovette abbandonare il banjo, lo strumento che aveva suonato con grande bravura fino ad allora, e iniziò a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a queste, sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare riuscendo in questo modo a vincere la menomazione. A metà degli anni trenta, Reinhardt e il violinista Stéphane Grappelli formarono un quintetto di soli strumenti a corda: insieme composero tanti brani di successo. Ad eseguirli, in una delle sale del “Museo Archeologico Provinciale” di Salerno, sono stati i componenti del gruppo jazz “Quasimanouche” composto da quattro chitarristi: professionisti, amici, uniti dalla passione per la musica: Fernando Chiumiento, contrabbassista e bassista, medico anestesista rianimatore salernitano; Philippe Mougnaud, chitarrista, ingegnere aerospaziale parigino trapiantato a Roma; Giosue Masciari, chitarrista, medico ginecologo catanzarese trapiantato a Trento; Gualtiero Lamagna, chitarrista, agente di commercio, napoletano, che ha raccontato la storia del gruppo “Quasimanouche”:” E’ un progetto musicale amatoriale che si basa sulla voglia di suonare la musica “Jazz Manouche” o “Gypsy Jazz” o “String Swing” un jazz europeo che s’ispira a quello sud americano, un jazz melodico cadenzato in cui trovano la massima espressione gli strumenti a corda, tipico delle band gitane. Questo genere musicale trae la sua origine dall’esperienza artistica del chitarrista Django Reinhardt, che ne è considerato l’ideatore e il massimo esponente: egli ha reso possibile l’unione tra l’antica tradizione musicale gitana del ceppo dei Manouches e il jazz americano”. Tanti i brani eseguiti dal gruppo che facevano parte del repertorio del jazzista francese Jean Reinhart, che introdusse lo strumento della chitarra nel jazz come strumento solistico, e del violinista Stéphane Grappelli: Minor Swing”, “Daphne”, “Belleville”, “Djangology”, “Swing ”42″, “Bolero” “Nuages” e Oci ciornie / Occhi neri, sono solo alcune delle composizioni più popolari di Reinhardt diventate standard all’interno del “Gypsy Jazz” o “Jazz Manouche”. La serata è stata organizzata dall’associazione culturale “Parco Storico Sichelgaita”, presieduta dalla professoressa Clotilde Baccari Cioffi:” Abbiamo voluto coniugare l’arte, la storia con la musica raffinata e colta eseguita dal gruppo jazz “Quasimanouche”: è questo un modo di fare cultura e creare una sinestesia che mette insieme più esperienze, più sensazioni, più suggestioni, più emozioni; è anche l’occasione per molti di vivere la magia di un luogo d’arte”. Il concerto è stato preceduto da una visita guidata al museo curata dalle preparate e professionali guide del Museo Provinciale: Antonella Benincasa e Ciro Caserta. (Foto di Luciana Cardone e Rosa Maria Vitola).
Aniello Palumbo