“ La storia degli Internati Militari Italiani è una storia di resistenza e fa parte di quel secondo risorgimento che fu la lotta di liberazione, accanto alla lotta partigiana e della resistenza civile Adesso finalmente è riconosciuta ma per molti anni è stata nell’oblio”. A raccontare la storia degli IMI, gli Internati Militari Italiani catturati, rastrellati e deportati dalle truppe naziste nei territori della Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio dell’Italia, , è stato il presidente nazionale ANEI ( Associazione Nazionale Ex Internati) , Orlando Materassi, che insieme alla professoressa Silvia Pascale, docente e studiosa di storia, ha scritto il libro “La memoria legata al filo rosso – Il ricordo negli occhi di mio padre”, presentato in anteprima durante l’incontro organizzato su piattaforma dai direttori artistici de “La Congrega Letteraria” di Vietri sul Mare: il professor Antonio Gazia e Alfonso Vincenzo Mauro.
Il padre”, di cui si parla nel libro, è il padre di Orlando Materassi, Elio Materassi, uno dei 650.000 Internati Militari Italiani deportati nei Lager del Terzo Reich dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, condannati ai lavori forzati per il solo fatto di essersi rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò. “Fu una scelta antifascista: con loro iniziò una prima forma di resistenza” – ha spiegato Orlando Materassi – “ Di questi, oltre 50.000, non fecero più ritorno alla loro casa e ai loro affetti. La storia degli Internati Militari Italiani non è molto conosciuta e non si trova nei testi scolastici. Materassi ha raccontato le violenze e i soprusi che subirono questi militari italiani:” Inizialmente considerati prigionieri di guerra a tutti gli effetti, dal 20 settembre 1943,con un provvedimento di Hitler, vennero classificati Internati Militari Italiani, per eludere la Convenzione di Ginevra del 1929 riguardante la tutela dei prigionieri di guerra. Furono esclusi dal controllo e dagli aiuti della Croce Rossa Internazionale e furono sfruttati come schiavi dal Terzo Reich, attraverso l’utilizzo ai lavori forzati. Le violenze a cui furono sottoposti li segnarono per sempre, al loro rientro ebbero il timore di raccontare, temendo di non essere creduti. Molti di loro ne parlarono solo in famiglia: Anche mio padre , che pesava 35 chili quando tornò in Italia da Schwanewede, dal campo di lavoro forzato a Heidkamp, aveva prodotto una testimonianza scritta, la tenne riservata per i soli familiari fino al 1992, quando fu pubblicata per la prima volta grazie all’interessamento del Comune di Pontassieve. Credo sia un dovere ricordare e raccontare alle nuove generazioni gli orrori della guerra, le singole storie, attraverso le quali si affermano le ragioni del perché diventa pericoloso disconoscere il passato, specialmente in un periodo storico qual è quello attuale”. La professoressa Silvia Pascale, che ha scritto molti libri sui Lager e che da anni conduce ricerche sui campi d’internamento, ha spiegato che non è semplice trovare notizie sugli internati:” C’è un grande vuoto. Anche consultando i vari archivi sono poche le notizie sugli internati nei campi”. Sono molte però le persone che vorrebbero ricevere notizie sui loro cari, internati in quel periodo:” Possiamo cercare di dare loro un aiuto. Possono contattarci scrivendo agli indirizzi mail : info@anei.it oppure materassi.pascale@gmail.com Può scriverci anche chi ha testimonianze dei propri cari:” Chi ha qualcosa deve farne tesoro, dietro le testimonianze ci sono persone che hanno sofferto, loro e le loro famiglie”.
Aniello Palumbo